sabato 30 agosto 2014

VENEZIA 71. GIORNO 3 (Venerdi 29 Agosto)

99 HOMES, di Ramin Bahrani (concorso)

Sinora il concorso del Festival sta stentando a decollare. Eccetto il documentario di Joshua Oppenheimer (di cui vi parlo poco più sotto), i film di fiction sono piuttosto piatti e poco convincenti. 99 Homes invece sembra essere il prodotto meglio confezionato sia dal punto di vista della scrittura (ottima la sceneggiatura vivace e in costante tensione) che della regia e dell'interpretazione degli attori (primo su tutti Michael Shannon). Il film indaga una realtà molto attuale e poco affrontata dal cinema, costruendo una storia di loschi agenti immobiliari che si arricchiscono sfrattando dalle proprie abitazione le persone più povere. Il protagonista dovrà sporcarsi le mani se vorrà rimanere a galla in questo mare di squali, e da vittima si trasforma in carnefice attraverso un percorso credibile e dosato. Il film però, in una seconda parte più canonica e frettolosa, sposta la sua lente su riflessioni abbastanza scontate come il valore delle proprie scelte morali a discapito di una cinicità dettata dalla legge della giungla. Risultando dunque meno profondo e perfetto di quanto possa apparire, 99 Homes rimane comunque uno dei titoli più apprezzati per il momento.


THE LOOK OF SILENCE, di Joshua Oppenheimer (concorso)

Invece convince pienamente e lascia il segno l’ultimo lavoro di Joshua Oppenheimer che, dopo aver sorpreso (in maniera positiva) e scandalizzato le platee di tutto il mondo con The Act of Killing, torna sullo stesso tema dirigendo il documentario The Look of Silence. Il film si apre in maniera didascalica per dare le giuste coordinate allo spettatore: Indonesia, 1965. Gli uomini al potere (ancora oggi a capo dello Stato) compiono uno sterminio di massa (le cifre stimate ruotano attorno al milione)anti comunista. Uno dei tanti genocidi clamorosamente poco ricordati della Storia. Con The Act of Killing, il regista provò a portare sotto i riflettori i fatti andando ad intervistare i diretti responsabili. In The Look of Silence, Oppenheimer gira la macchina da presa di 180 gradi, prendendo il punto di vista di chi il genocidio l’ha subito, anche se in maniera indiretta. Infatti il protagonista del film è un oculista che ha perso il fratello proprio a causa di queste esecuzioni. Nell’aiutare i suoi pazienti a mettere a fuoco la vista, il film cerca di mettere a fuoco (frequenti le inquadrature strette attorno alla montatura degli occhiali medici) una realtà ancora troppo nascosta e sconosciuta. Il confronto con il titolo precedente risulta quasi obbligato perchè sono troppi i richiami e i legami che le due pellicole condividono. Ma sotto la superficie, i lavori sono piuttosto diversi tra loro.  Stilisticamente parlando, The Look of Silence si avvale di una regia più canonica e “classica” (forse un po’ troppo fredda e studiata in alcuni momenti), di sicuro profondamente distante dalle immagini più grezze e spontanee di The Act of Killing. Dal punto di vista dei contenuti invece, The Act of Killing (che dura quasi il doppio) informa lo spettatore su diverse questioni che in The Look of Silence sono date quasi per risapute. La funzione meramente istruttiva viene leggermente meno, ma è moralmente parlando che il film lascia il segno più profondo nello spettatore. Oppenheimer sembra soddisfatto del suo titolo precedente e  vuole cambiare rotta, insistere nell’indagine dell’essere umano. Perché queste persone sono ancora al governo o non sono mai state imputate? Come si può vivere senza un minimo peso sulla coscienza dopo aver compiuto tali azioni? Perché il fratello di una vittima, agli occhi di ogni intervistato è visto come un emarginato da trascurare?  Sempre rispettando la neutralità dello sguardo, il regista realizza dunque un film sicuramente riuscito, anche se a tratti lievemente altalenante, ripetitivo e mai così spiazzante come fu il precedente, ma che lascia il segno di un’umanità dilaniata e dilaniante su cui riflettere a lungo.


ANIME NERE, di Grancesco Munzi (concorso)

Primo film italiano in concorso, Anime Nere è un affresco del nostro Paese prima ancora che della criminalità organizzata. Amicizie, famiglie, sogni, passioni, tutto si frantuma di fronte ad una strada violenta e spietata, una strada che cerca la scorciatoia delle minacce per ottenere tutto e subito ma che inevitabilmente porterà ad una destinazione poco felice. Francesco Munzi lavora bene con gli attori e nel ricostruire un ambiente piccolo, sporco, claustrofobico dal quale non si riesce a trovare via di fuga (macchina da presa molto vicina agli sguardi e ai corpi dei personaggi), però in fin dei conti il suo film non aggiunge nulla di nuovo a quanto già detto e ridetto negli ultimi anni, soprattutto da noi in Italia dove il fenomeno Gomorra, tra libri film e serie tv, ha dato i suoi (buoni) frutti. Anime Nere è un'opera che non intacca mai fino in fondo lo spettatore, che non indaga più del solito l'ambiente camorristico e che non propone una chiave di lettura nuova o originale. Eppure la pellicola si lascia guardare anche se ostacolata da una sceneggiatura un po' troppo macchinosa che ci mette tanto ad ingranare. Per questi motivi alla fine della proiezione il regista si merita i nostri applausi. Consegnare questo progetto in una mano meno esperta o appassionata, non avrebbe sicuramente dato lo stesso risultato.

venerdì 29 agosto 2014

VENEZIA 71. GIORNO 2 (Giovedi 28 Agosto)

MESSI, di Alex De La Iglesia (giornate degli autori)

Alex De La Iglesia ha  da sempre dimostrato di possedere un talento visionario fuori dal comune. Le aspettative per un documentario eccellente c'erano tutte data la firma del regista e lo sviluppo che, soprattutto negli ultimi anni, i documentari stanno avendo. Invece Messi è un film non riuscito, che cerca di raccontare più da vicino la storia di uno dei giocatori più forti al mondo, ma non resta che in superficie. Mescolando interviste con calciatori, ct, insegnanti scolastici ed amici d'infanzia a sequenze di fiction, il regista si ferma al primo step nel suo raccontare, quello delle curiosità (che tra l'altro, a ben vedere non sono poi così tante) per poi passare ad osannare il suo beniamino innalzandolo alla figura di Santo. Un consiglio, se volete guardare qualcosa sulla Pulce, recuperate un servizio della vostra trasmissione sportiva preferita.


THE PRESIDENT,  di Moshen Makhmalbaf (orizzonti)

Il film d'apertura della sezione Orizzonti, convince solo a metà. La storia di un dittatore spietatissimo di una nazione immaginaria, che da un giorno all'altro, a causa di un colpo di Stato, si troverà costretto a nascondersi tra il suo popolo che tanto lo odia, regala delle sequenze davvero memorabili e toccanti, di una violenza fisica e psicologica non indifferente, capaci di far riflettere sulla responsabilità delle proprie azioni in una maniera poco indagata dal grande schermo. Però bisogna anche ammettere che alcune scelte stilistiche sono davvero elementari e poco convincenti (primo fra tutti un finale buonista e retorico che stona con il cinismo del resto della pellicola). Makhmalbaf aveva già dimostrato di essere un buon regista più che altro attento alla messa in scena e alla recitazione degli attori, peccato per i contenuti tematici davvero altalenanti.


LA VITA OSCENA, di Renato De Maria (orizzonti)

Purtroppo, il film più brutto (sinora) presentato alla mostra del cinema è un film italiano. Tratto da un romanzo autobiografico scritto da un ex tossicodipendente che riesce poi a uscire dal tunnel delle sostanze e dalla sua depressione, il film di De Maria fa acqua da tutte le parti proponendo una regia vorticosa, non funzionale alla tematica, multimediale ma a tratti grezza e davvero antica. Il problema maggiore dell'opera però risiede nei contenuti. Infatti la droga è un argomento serio e rischioso. Trattarlo in modo superficiale ed ingenuo, potrebbe risultare offensivo e poco rispettoso per tutti coloro che con tale piaga combattono quotidianamente. Da dimenticare.

mercoledì 27 agosto 2014

VENEZIA 71. GIORNO 1 (Mercoledi 27 Agosto)

BIRDMAN, di Alejandro G. Inarritu (concorso)

Dopo l'ottima scelta di Gravity come apertura della passata edizione del Festival, la mostra di Venezia numero 71 riconferma una buona proposta per dare il via alle danze. Birdman è un film compatto, solido, dal grande respiro cinematografico, denso di contenuti affrontati in maniera originale e profonda, con un cast strepitoso (primo fra tutti Michael Keaton) capace di sorreggere l'intera pellicola e abbellito ulteriormente dalla direzione della fotografia di Lubezki (che, pura coincidenza (?), aveva lavorato anche sul set di Gravity per il quale ottenne un premio Oscar). La vicenda racconta della psicologia di un attore cinematografico diventato famoso grazie ad un film di supereroi che ora vuole darsi al teatro. Inarritu soffoca i suoi personaggi, concentrandosi spesso su coppie di attori che si mescolano svariate volte per portare avanti la vicenda, adotta uno stile ipnotico e difficile da reggere per tutta la durata (il film è concepito come un unico piano sequenza, la novità sta nel fatto che il piano temporale e il piano del racconto non combaciano) ma che, anche grazie al sapiente utilizzo di una minimalista ed utopica colonna sonora, risulterà una delle carte vincenti della pellicola. Il film mette perennemente al centro il suo protagonista indagando i suoi sogni, le sue paure, la sua vita su e giù dal palcoscenico, ma non risparmia critiche severe ed analisi attente sui social network, sul ruolo dei critici nel mondo dell'arte, sulla voglia di fama degli attori, sui rapporti familiari ecc. Birdman riesce anche a mescolare momenti comici a sequenze decisamente drammatiche che mirano ad ingabbiare lo spettatore esattamente come il suo personaggio. Ed il finale a campo aperto (ovvero senza controcampo) sarà quasi una manna dal cielo. Per tutti.


ONE ON ONE, di Kim Ki-duk (giornate degli autori) 


Per la terza volta consecutiva è sbarcato al lido il regista Kim Ki-duk, quest'anno per presentare il suo ultimo lavoro, One on One, che ha avuto il privilegio di aprire la sezione parallela delle Giornate degli Autori. La pellicola rispecchia le ultime tendenze cinematografiche del regista, mostrando diverse scene di violenza come già era successo nel precedente Moebius o in Pietà (sempre presentati nella cornice veneziana), cercando di spronare lo spettatore ad una riflessione sul senso di colpa, sulla responsabilità e sui doveri di ognuno di noi. Il problema però è che la pellicola risulta troppo esplicita, didascalica e meno  profonda di quanto voglia apparire, a tratti persino ripetitiva e noiosa. Prendendo le mosse dall'omicidio della sua figlia adolescente, il protagonista del film cerca vendetta, ma strada facendo la violenza aumenterà e il nostro (anti)eroe perderà la bussola. Di trovate brillanti il film ne ha, la mano del maestro orientale si sente, però manca qualcosa e soprattutto non si scava mai adeguatamente. Peccato