domenica 8 settembre 2013

VENEZIA 70, Palmarès

Leone d'Oro per il miglior film: Sacro GRA di Gianfranco Rosi

Leone d'argento per la migliore regia: Miss Violence di Alexandros Avranas

Premio speciale della Giuria: Die Frau des Polizisten di Philip Gröning

Gran Premio della Giuria: Stray Dogs di Tsai Ming-liang

Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile: Themis Panou per Miss Violence

Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile: Elena Cotta per Via Castellana Bandiera

Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente: Tye Sheridan perJoe

Premio per la miglior sceneggiatura: Philomena di Stephen Frears, scritto da Steve Coogan e Jack Pope

Premio speciale sezione Orizzonti: Ruin di Micheal Cody e Amiel Courtin-Wilson

Premio per la migliore regia sezione Orizzonti: Still Life di Uberto Pasolini

Premio per il miglior film sezione Orizzonti: Eastern Boys di Robin Campillo

Premio De Laurentiis Venezia Opera Prima: White Shadows di Noaz Deshe

sabato 7 settembre 2013

VENEZIA 70, Giorno 10 (6 Venerdi)

10.1 STRAY DOGS, di Tsai Ming Liang (concorso)

Nel bene o nel male, siamo di fronte al film più controverso e folgorante del festival. Il veterano regista cinese firma quella che lui stesso ha dichiarato essere la sua ultima opera e lo fa estremizzando il cinema. Nel bene o nel male, non si potrà rimanere impassibili di fronte a un'opera così. C'è chi l'ha amato alla follia e chi l'ha trovato come l'opera più disgustosa del festival. Per quanto mi riguardo, non saprei da che parte schierarmi. Il film è di indubbia qualità tecnica. E questo è un bene. Ma l'idea cinematografica di Tsai Ming Liang è un'idea troppo ostile allo spettatore e troppo estrema. Il regista lavora per "quadri". Le sue inquadrature sono di straordinaria bellezza artistica, colori vivaci, profondità di campo, perfezione compositiva. Sono inquadrature statiche e lunghissime. Per circa 10 minuti osserviamo una sorta di quadro vivente. L'emozione arriva là dove un attore inizia a piangere sempre nello stesso "quadro" e noi con lui, senza montaggio. Si respira disarmo nel racconto del film, si respira umanità e disgrazia. Però comporre una pellicola di 2 ore e 20 in questa maniera è estremo (come già detto), per poi arrivare nella mezz'ora finale dove si sfiora la video arte (cosa che personalmente non gradisco al cinema) e dove il regista forse si diverte facendo il furbo e lasciando intuire a ogni spettatore ciò che lui vuole intuire. Certo che però il film rimane dentro, un segno indelebile. Ma sarà nel bene o nel male? Ancora non so dirvelo.

Voto: non classificabile



10.2 AMAZONIA [3D]

E così, dopo 10 giorni di cinema, siamo arrivati al film di chiusura della rassegna. Eravamo partiti con Gravity, film presentato fuori concorso e girato in 3D. Chiudiamo con questo Amazonia che rispetta le stesse proprietà, un film presentato fuori concorso e girato in 3D. Un cerchio che si chiude insomma. Molti erano scettici sulla scelta di questa pellicola come chiusura del festival, invece il film si rivela un'operazione simpatica e curiosa, senza troppe pretese, ma piacevole e non scontata. Per circa 90 minuti seguiamo le avventure di una piccola scimmietta nata in cattività ma poi smarritasi nella giungla. Dovrà fare i conti con il mondo selvaggio. La terza dimensione è ben calibrata, le immagini sono a volte sorprendenti e ci regalano sequenza davvero sbalorditive a là National Geographic. Animali, fiumi, flora, tramonti servono anche per amplificare la denuncia finale del film contro lo sfruttamento dell'ambiente da parte dell'uomo. 

Voto: 3/5

venerdì 6 settembre 2013

VENEZIA 70, Giorno 9 (5 Giovedi)

9.1 SACRO GRA, di Gianfranco Rosi (concorso)


Innanzitutto, facciamo una premessa: sarebbe sbagliato definire questo lavoro come documentaristico. Sacro GRA è un’opera troppo scritta, troppo precisa e studiata, troppo inquadrata e finta per risultare reale e veritiera. Si potrebbe parlare piuttosto di un cinema del reale (una tendenza che negli ultimi anni trova altri esponenti come ad esempio le Quattro Volte di Frammartino o Il Castello di D’Anolfi e Parenti), là dove il regista Francesco Rosi spende circa due anni della sua vita a raccogliere testimonianze e frammenti di realtà per poi metterle sullo schermo utilizzando le medesime persone da lui incontrate. Dico questo perché di spunti interessanti il film ne ha. Una pellicola che ruota attorno al Grande Raccordo Anulare di Roma senza quasi mai mostrarcelo se non per qualche (ricattatoria) inquadratura notturna. Rosi infatti si concentra sull’umanità e sulla realtà sfuggevole che circonda quella strada. Si concentra su luoghi e personaggi di cui nessuno è a conoscenza proprio perché per il GRA ci si sfreccia in macchina e via. Interessato ad un’umanità celata, Rosi dipinge come fossero eroi, delle persone che più umili e comuni non si può. Però ci sono diversi però. Il film risulta davvero troppo frammentato e vario. Veniamo a conoscenza di circa 7 storie diverse che per i 90 minuti di pellicola si calpestano i piedi l’una con l’altra quasi a voler fare a gara per chi dovesse apparire di più. L’eterogeneità del contesto sarà anche giusta come idea iniziale, ma con l’avanzare della pellicola forse concentrarsi su meno episodi ma in modo più approfondito sarebbe stato utile. Il film continua a passare da una parte all’altra senza connessioni di alcun tipo e stordendo un po’ la visione che alla lunga risulta stanca(nte) e ripetitiva.

Voto: 2/5



9.2 LA JALOUSIE, di Philippe Garrel (concorso)

Si tratta di un film innocuo questo ultimo lavoro di Garrel. Un film che contenuticamente rimane un po' sulle difensive, senza osare dove forse una trama e un argomento quali quelli mostrati meriterebbero di più (e questo è un difetto), ma un film che stilisticamente regala molto agli occhi. Il regista francese dichiara sin da subito che voglia analizzare la gelosia. E lo fa sotto diversi punti di vista: la gelosia tra amanti, tra genitori, tra padri e figli, al lavoro e via dicendo. Il tutto girato in un bianco e nero delicatissimo e preciso sotto ogni riflesso o ombra,cercando di sfumare il più possibile i volti dei personaggi, ricreando un'aurea a là Novelle Vague che piace molto e che si rivela la carta più forte giocata. Il problema del film rimane nella materia trattata con pesantezza non necessaria, cosa che rende la pellicola faticosa da seguire e la che la fa sembrare molto più lunga dei suoi 75 minuti effettivi. Inoltre sembra che Garrel abbia troppa freddezza e precisione nel narrare. Più umanità e irrazionalità nello stendere la sceneggiatura avrebbero aiutato. 

Voto: 3/5

VENZIA 70, Giorno 8 (4 Mercoledi)

8.1 L'INTREPIDO, di Gianni Amelio (concorso)

Dispiace ammetterlo, ma l'ultimo lavoro di Gianni Amelio  è la più grande delusione di quest'anno. Non solo perchè il regista ha confezionato un film davvero misero e scadente, ma soprattutto perchè lui è stato (e uso questo tempo verbale perchè dopo questa pellicola la sua carriera viene sicuramente rimessa in discussione) uno dei migliori autori italiani viventi e , forse, non solo. L'intrepido ha alla base un soggetto banale, con sotto trame prive di qualsiasi sviluppo (chi me lo spiega il personaggio della ragazza? Oppure la figura del pedofilo?) e dialoghi che sembrano il frutto del lavoro di un adolescente (scusate ma tra la battuta sugli africani e le tessitrici che si interessano ad Albanese si raggiungono livelli davvero deludenti). Il film concentra tutte le sue forze sulla figura del protagonista che purtroppo Albanese non riesce a sostenere per tre motivi. Innanzitutto bisogna ammetterlo, il comico ha regalato performance migliori, in secondo luogo gli attori che lo circondano non spiccano minimamente e per finire, il problema maggiore, il suo personaggio è costruito proprio male; come già detto, le battute che recita sono poco convincenti e poi l'aria di buonismo che si respira per tutta la pellicola, il paragone (quanto mai azzardato e anche un po' sfrontato) con Charlot di Chaplin lascia davvero l'amaro in bocca. In tutto ciò, come se non bastasse, il film prende una piega finale che peggiora ulteriormente il tutto. Alla ricerca dell'happy ending, alla ricerca dell'onirismo fuori luogo, per poi terminare con uno sguardo in macchina che getta Amelio nella lista dei cattivi.

Voto: 1/5   



8.2 THE UNKNOWN KNOWN, di Errol Morris (concorso)

Il giornalista Morris costruisce un documentario molto interessante e visivamente ben congegnato. Un'intervista con Donald Rumsfeld, grande uomo politico americano che, tra gli altri, ha ricoperto per ben 2 volte il ruolo di Segretario della Difesa. Rumsfeld ha le mani in pasta con tutto, e Morris non gli risparmia le domande andando ad affrontare diversi argomenti tra cui l'11 Settembre, Bin Laden, la guerra in Iraq, Saddam Hussein, Guantanamo ecc. Rumsfeld però non è il primo pivello che passa e forse la curiosità più sorprendente dell'intero lavoro è proprio la capacità del suo protagonista di rigirare le carte in tavola sempre a suo piacimento e favore. Alla fine della visione non verrà rivelato nulla di più di quanto già si sa, di quanto ufficializzato dal governo U.S.A. Rumsfeld si dimostra impassibile pur sfoggiando sempre un sorriso amichevole e rispondendo a tutte le domande eccetto l'ultima, la più semplice e umana, che liquiderà con un "non lo so" che dà un tocco in più a tutto il lavoro. Un po' ostico da seguire per chi non fosse informato sugli eventi trattati, ma un film molto piacevole. Da sottolineare la straordinaria colonna sonora di Danny Elfman che regala al tutto un tocco fiabesco, giocando sul contrasto della realtà dura che viene presa in esame.

Voto: 3/5

mercoledì 4 settembre 2013

VENEZIA 70, Giorno 7 (3 Martedi) - parte 2

7.3 MOEBIUS, di Kim Ki-Duk

Dopo essersi meritato il leone d'oro nella scorsa edizione del festival con Pietà, Kim Ki-Duk torna al lido per presentare fuori concorso il suo film più estremo. Moebius, primo film censurato in patria dopo 25 anni di via libera, non ha nessuna intenzione di mettere a suo agio lo spettatore, anzi, lo coinvolge in una storia malata e violenta. Una storia che il maestro orientale osa girare senza scrivere nemmeno un dialogo, ma giocando solo sugli sguardo e sulle azioni dei protagonisti. Per 90 minuti non sentiremo nemmeno una parola, ma la bravura del regista sta proprio in questo, non annoiare ma coinvolgere nonostante questo enorme ostacolo. Per quanto riguarda la materia trattata diciamo che forse Ki-Duk questa volta si è divertito un po' troppo. Lasciandosi scappare la mano sia nella violenza, mostrata inizialmente in maniera davvero cruda ed esplicita ma che a lungo andare sfocerà quasi nel grottesco, sia nella storia, in cui incesti, stupri e repressioni sessuali sono sullo sfondo di quella che potrebbe essere definita una tragedia greca ambientata in Corea. Le premesse per riproporre un altro enorme film del calibro di Pietà c'erano tutte, peccato solo che con Moebius sembra davvero essere sfuggito qualcosa. Comunque sia, se i risultati di un lavoro "distratto" sono questi, il coreano lascia sperare benissimo.

Voto: 3/5



7.4 STILL LIFE, di Uberto Pasolini

Un'opera molto interessante quella dell'italiano Uberto Pasolini, noto produttore italiano qua alla sua seconda regia. Un film con al centro un uomo solo con una bizzarra professione, gestire i funerali di persone che sono sole come lui e che dunque non avrebbero nessuno che organizzerebbe la cerimonia per loro una volta passati ad altra vita. Pasolini opta per uno stile delicato, lento nei suoi tempi ma non prolisso e si concentra molto sulla direzione degli attori che lo ricompensano più che degnamente. Nel finale purtroppo si condensano tutti gli errori di questa pellicola che cresce bene ma poi si banalizza un po' sia per la scelta narrativa che per l'ultima inquadratura piuttosto semplice e retorica. Ma comunque i minuti precedenti non si cancellano e non si dimenticano. Sicuramente non è l'enorme capolavoro che in monti hanno annunciato al Lido, ma rimane un'opera più che sufficiente, delicata e spiazzante. 

Voto: 3/5



7.5 HARLOCK: SPACE PIRATE [3D]

Il giapponese Shinji Aramaki dirige questa epica pellicola in pieno stile anime (questo il nome con cui vengono chiamati i lavori d'animazione giapponesi). Lo fa però utilizzando una tecnica grafica davvero straordinaria che sta migliorando sempre più anno dopo anno. Scordatevi il "fotorealismo" di Final Fantasy, qua si viaggia a livelli molto più alti. Sia per la perfezione dei dettagli sia per le scelte dei movimenti di macchina. La tecnica però non può salvare un intero film, ancora peggio se questo film dura 2 ore e se  tratto da una delle saghe giapponesi più amate e seguite. Harlock è un personaggio ormai leggenda, e gli autori del film si assumono una grossa responsabilità correndo il rischio di far arrabbiare i fans più accaniti della saga in quanto il personaggio subisce una lettura sia contenuticamente che narrativamente parlando che potrebbe essere apprezzata come odiata profondamente. Detto ciò, sul piano narrativo il film non regala nessuna perla indimenticabile e sembra essere un po' stanco e verboso, cosa che alla lunga stufa. Ma l'uso sapiente del 3D e tutte le qulità già espresse, lo rendono comunque meritevole di una visione.

Voto: 3/5

VENEZIA 70, Giorno 7 (3 Martedi) - parte 1

7.1 UNDER THE SKIN, di Jonathan Glazer (concorso)

Jonathan Glazer, famoso più che altro per i suoi lavori nel mondo dei videoclip, sembra davvero spaesato e poco affezionato alla materia che tratta. Un alieno sbarca sulla terra con lo scopo di studiare gli uomini. Prima li seduce grazie alle sue forme, e poi li uccide. Va da sè che con il procedere dei minuti la nostra protagonista inizierà a provare sentimenti più umani per poi ritornare ancora spietata ecc. Poca carne al fuoco, pochi contenuti e pochissimi guizzi rendono Under The Skin un film decisamente vuoto e prolisso, che si trascina malamente per poco meno di due ore mettendo a dura prova la pazienza degli spettatori. Ogni incontro con le diverse prede che l’alieno incontrerà, rimane chiuso in se stesso, isolato dal contesto. Brutalità, cattiveria, umanità, altruismo. Sembra che Glazer voglia fare una sorta di radiografia della razza umana aprendo e chiudendo capitoli brevissimi. Ma innanzitutto non è un buon modo di procedere, secondariamente i diversi episodi non sono approfonditi come dovrebbero e toccano un minimo interesse solo quando puntano a un pathos piuttosto furbo ed elementare (leggi la figura del freak). Qualcosina di buono la possiamo trovare nelle prime sequenze, dove il regista sembra attingere al campo cinematografico che più gli compete, quello dei video clip. Fotografia abbagliante, suoni elettronici, fondali astratti e molti riflessi. Ora però, purtroppo per lui (e di conseguenza per noi) Glazer non ha ben chiaro  in mente che il cinema e la video arte sono due mondi diversi. Dunque, accantonata questa prima parte iniziale, il film sprofonda notevolmente, inseguendo uno scopo che non gli è chiaro e puntando tutto su una Johansson spenta e poco convincente.

Voto: 1/5



7.2 THE ARMSTRONG LIE, di Alex Gibney

Presentato nella sezione Fuori Concorso Proiezioni Speciali, quello di Alex Gibney è un riuscitissimo documentario. Una storia che sfiora l’incredibile, soprattutto per la sua importanza sportiva, viene messa sotto la lente d’ingrandimento del regista che da primo tifoso del ciclista americano, è anche il primo a rimanere scotto dalle interviste rilasciate dal suo beniamino. Lance Armstrong vinse 7 Tour de France consecutivamente. Paladino dello sport in quanto risultato sempre positivo ai controlli anti doping e in quanto esempio umano da seguire (Lance uscì vincitore dalla lotta contro il cancro prima di iniziare a vincere in pista). Il film segue passo per passo le sue avventure sportive e non intervistando le persone che più gli sono state vicine. Ma lo fa prendendo le mosse dalle dichiarazioni shock di qualche mese fa in cui il campione affermò di essersi sempre “drogato” per riuscire a vincere. Dottori, giornalisti, compagni di squadra, amici e Lance in prima persona si mettono a nudo nel film. Un mosaico toccante e riuscito che sarà apprezzato sia dagli appassionati di ciclismo sia dai neofiti. Infatti un altro pregio della pellicola è quello di spiegare per filo e per segno ogni singolo aspetto delle corse (tattiche, visite mediche, allenamenti) senza dare nulla per scontato. Si racconta di Armstrong, ma si racconta anche di tutta una macchina politico-organizzativa che sta dietro le quinte di quello che da molti è definito lo sport più facile del mondo. Unica pecca, la durata un po’ eccessiva.

Voto: 3/5

VENEZIA 7O, Giorno 6 (2 Lunedi) - parte 2

6.3 LOCKE, di Steven Knight

Senza troppi giri di parole, Locke è il film del festival. Un titolo che quasi nessuno tra pubblico e giornalisti si era segnato da vedere quando venne presentato il programma, ma che sin dalla prima proiezione per al stampa ha fatto parlare molto positivamente di sè, il passaparola si è sparso in un attimo qua al lido e quasi tutti i visitatori della mostra hanno cambiato il loro programma per vederlo rimanendo completamente soddisfatti. Un film minimalista che più minimalista non si può. 90 minuti, un uomo che guida mentre parla al telefono. Punto. Eppure il film non annoia, intrattiene, emoziona, fa riflettere e regala un'umanità che disarma completamente. Il regista e sceneggiatore Steve Knight sa il fatto suo. Scrive uno dei copioni più avvincenti e perfetti degli ultimi anni. Copione che Tom Hardy interpreta magistralmente e che se il film fosse stato presentato in concorso gli avrebbe di diritto fatto vincere la coppa Volpi. Un grande film, una lezione di cinema e di sceneggiatura che dimostra come si possa emozionare in maniera non convenzionale, con un solo uomo in scena rinchiuso in una macchina. Sorprendente. 

Voto: 4/5



6.4 PALO ALTO, di Gia Coppola

Ennesimo film sull'adolescenza. Ennesima banalità. Sesso, droga, alcool, feste, piscine, macchine, sigarette, musica, licei, primi amori, primi tradimenti. Gia Coppola è imparentata con Sofia e da lei riprende le tematiche, ma le banalizza in maniera crudele, senza mostrare un minimo di poesia o di stile cinematografico. Rimane poco negli occhi, ma soprattutto rimane poco nel cuore, dopo la visione di questo lavoro che non fa altro che puntare su un pubblico della stessa età dei suoi personaggi. Mancano persino le parole per commentarlo. Un luogo comune dietro l'altro di cui non si sentiva minimamente l'esigenza. James Franco interpreta e produce, ma poteva tranquillamente farne a meno. 

Voto: 1/5

VENEZIA 70, Giorno 6 (2 Lunedi) - parte 1

6.1 TOM A' LA FERME, di Xavier Dolan (concorso)

Quarto film del promettente e giovanissimo regista canadese (classe 1989) Xavier Dolan, Tom A' La Ferme è un oggetto strano e difficile da analizzare. Dolan, qua anche (ottimo) protagonista, racconta di un lutto e di due mondi che entrano in collisione. Lo fa con un crescendo regolare nel quale lo spettatore viene accompagnato passo per passo nel profondo della questione. Lo fa con mano sicura, indubbiamente, permettendosi addirittura di "giocare" con i formati delle inquadrature senza risultare ridicolo e approfittando di una colonna sonora decisa e al limite della ridondanza, ma perfettamente calata nel contesto. Però al film manca qualcosa. Trascurando una seconda parte nettamente in discesa rispetto alla prima (a cominciare dalla scena del ballo che potrebbe infastidire, cinematograficamente parlando, anche il meno irascibile tra il pubblico), il film sembra non (voler) evolversi mai. Rimane là, da dove è iniziato, presentando le stesse problematica dal principio alla fine e non trovando una soluzione nè per sè nè per i suoi personaggi. Si indaga la solitudine e l'avversione di due mondi inconciliabili che provano fino all'ultimo a trovare un accordo, ma che inevitabilmente falliranno, proprio come la pellicola sulla quale sono impressi.

Voto: 2/5



6.2 THE ZERO THEOREM, di Terry Gilliam (concorso)

Qualcuno sosteneva che un artista avrebbe dovuto sempre rappresentare/esprimere lo stesso concetto. Terry Gilliam sembra aver preso alla lettera questa filosofia, ma The Zero Theorem onestamente sembra solo un film ripetitivo e "anziano". Il regista crea una sorta di summit di tutta la sua filmografia sia contenutisticamente che stilisticamente parlando. Un uomo solo, incapace di relazionarsi con la società, ossessionato da una sorta di missione che solo lui stesso vede e segue, viene in qualche modo convertito da alcuni personaggi di contorno che proveranno a scrostare questo suo malessere ma senza una vittoria definitiva, come se le convinzioni del protagonista (un Christoph Waltz maestoso come sempre) fossero limabili ma impossibili da cancellare del tutto. Si tratta di un film zeppo di simboli, astrazioni, e mondi "paralleli" che però alla lunga rischiano di infastidire e confondere la visione dello spettatore. Gilliam punta sulla carta stilistica che ormai è il suo marchio di fabbrica, ricostruendo scenari magnifici, con costumi bizzarri e colori sgargianti. Però non aggiunge nulla di nuovo a quanto già detto, quasi come se volesse aggiornare i vecchi concetti realizzando una cover più moderna di Brazil o altri suoi titoli sicuramente più riusciti. 
E poi scusatemi, ma la teoria secondo cui il mondo virtuale sia più idilliaco e felice della realtà, nel 2013 è a dir poco cavernicola.

voto: 2/5 


lunedì 2 settembre 2013

VENEZIA 70, Giorno 5 (1 Settembre) - parte 2

5.3 WE ARE THE BEST!, di Lukas Moodysson

Ci hanno provato in molti a mettere in scena la prima adolescenza e questo film fa parte di quei molti, però fa anche parte dei molti che non sono riusciti nell'intento. Prendendo le mosse da una vicenda più leggera, interessante e originale (3 ragazze che vorrebbero formare una rock band) il film sbava spesso, riproponendo luoghi comuni quali alcool, prime cotte, ribellioni scolastiche e familiari, senza perseguire l'obiettivo nè tematico di fotografare quell'età, nè narrativo abbandonando ben presto le vicende della band per poi ripescarle nel finale. Il tutto accompagnato da uno stile frenetico, in continuo movimento con la macchina a mano, montaggio serrato e inquadrature brevi per sottolineare il disagio e la frenesia delle protagoniste (tra l'altro molto convincente la loro prova, e trattandosi di attrici così giovani c'è da stupirsi positivamente). Alla lunga però il film stufa e soprattutto non rinnova minimamente il genere, incastonandosi in una sorta di limbo tra l'immedesimazione nei confronti dei personaggi e il ripudio per le loro azioni deprecabili, senza schierarsi da nessuna parte e continuando a confondere le carte in tavola.

Voto: 2/5



5.4 THE WIND RISES, di Hayao Miyazaki (concorso)

Purtroppo, dovessimo fare una classifica dei lavori del maestro nipponico, il film presentato in concorso oggi meriterebbe senza discutere, l'ultimo posto. E' stato da poco annunciato che The Wind Rises sarebbe stato l'ultimo film di Hayao Miyazaki, e la pellicola risente di questo addio e in qualche modo lascia cosparsi nei suoi lunghissimi 126 minuti tracce che anticipano questa scelta. Miyazaki ha sempre avuto una sorta di venerazione per gli aerei, riscontrabile anche nella sua filmografia,  e come ultimo film decide di togliersi lo sfizio e raccontarci una storia che li vede come protagonisti. Una storia di passione sia lavorativa che amorosa. Un senso di malinconia pervade tutta la pellicola e Miyazaki calibra alla perfezione l'incontro dei due innamorati sullo schermo, a piccole dosi e con momenti di alto pathos tragico. Ma il film soffre principalmente di due fattori: il linguaggio tecnico e preciso, costantemente ricercato per migliorare i progetti degli aerei dal protagonista, che disturba la visione in quanto confonde notevolmente lo spettatore ignaro di tutti questi tecnicismi, e una lunghezza davvero eccessiva. Le sequenze memorabili ci sono, meno del solito, ma ci sono, così come la poesia e il lirismo. Alla fine qualcuno prenderà il volo nel vento, un po' come se proprio nel vento lo stesso regista salutasse il mondo e lasciasse in eredità i suoi film per noi, e a quel punto un brivido corre lungo la schiena. E anche se sappiamo che Miyazaki ha fatto e avrebbe potuto fare di meglio, continueremo sempre a ringraziarlo.

Voto: 3/5

VENEZIA 70, Giorno 5 (1 Domenica) - parte 1

5.1 PARKLAND, di Peter Landesman (concorso)

Senza infamia e senza lode potremmo definire l'esordio di Peter Landesman, ennesima opera che racconta le vicende legate all'omicidio di JFK, trentacinquesimo presidente degli U.S.A., ma che lo fa senza aggiungere nulla di memorabile a quanto già visto. Una buona scelta è quella di concentrarsi sui fatti ufficiali senza andare a suggerire nessuna teoria di complotto o simili, ma anche la forma del racconto, se vogliamo, potrebbe avvalorare ancor di più il lavoro. Parkland infatti è un film corale che segue azioni e reazioni di diversi personaggi coinvolti nel fattaccio come un reporter, un medico, le guardie di sicurezza ecc. A lungo andare però la regia diventa piatta e i guizzi sempre più rari. Il peccato maggiore però è che in questo minestrone di personaggi (effettivamente ce ne vengono presentati sin troppi) lo spettatore riesca a scavare ben poco nella loro personalità e le figure più interessanti (il fratello e la madre dell'omicida) sono abbandonate un po' allo stringato finale senza lo spazio dovuto. Un compitino eseguito bene grazie anche alle interpretazioni di un cast piuttosto in forma (Paul Giamatti e Billy Bob Thorton su tutti), ma nulla di più.

Voto: 3/5, forse qualcosina meno



5.2 MISS VIOLENCE, di Alexandros Avranas (concorso)

Miss Violence lascia il segno. Nel bene o nel male. Non si può uscire dalla sala senza essere rimasti scossi. Avranas, qui alla sua seconda regia, segue le tendenze che il cinema della sua patria (la Grecia) ha intrapreso da qualche anno a questa parte. Molto facile accostare questo lavoro a quelli del più famoso regista Lanthimos, ma il discorso è più profondo. Miss Violence racconta una tragedia a scatole cinesi. La prima sequenza mostra il suicidio di una ragazza nel giorno del suo undicesimo compleanno proprio mentre festeggiava con la sua famiglia. Da quel momento in poi, scatola dopo scatola,  lo spettatore vestirà in qualche modo i panni del fantasma di questa ragazza rimanendo in quella casa e con quella famiglia per tutto il film, spiando le malvagità più brutali nascoste a tutti e prendendo posto nel teatrino fittizio e sorridente di cene o riunioni con assistenti sociali. Passo dopo passo il regista ci svela qualcosa di sempre più grosso e subdolo, qualcosa che non vedremo mai perchè costantemente lasciato fuori campo ma che ci porterà verso un finale da cui scapperemo volentieri. C'è un universo intero in quella famiglia, ma un universo fatto di malvagità. Pedofilia, menzogne, prostituzione, violenza, un padre/padrone terrificante, solitudine, repressione, ipocrisia. Il tutto incorniciato in una regia elegantissima, con inquadrature calibrate al meglio, una fotografia gelida e movimenti di macchina fluidi (piano sequenza centrale davvero notevole). Uno stile che come dicevo ricorda molto quello di Lanthimos ma che, onestamente, non lo eguaglia, dando l'idea di una pellicola molto controllata e un po' tenuta a freno sulle pulsioni, cosa che con il regista di Kinodontas non succedeva. Detto ciò, uno dei migliori film del concorso.

Voto: 4/5

VENEZIA 70, Giorno 4 (31 Sabato) - parte 2

4.3 NIGHT MOVES, di Kelly Reichardt (concorso)

Bizzarro come proprio nel giorno di Philomena (che ho definito il film più riuscito sinora mostrato al festival) venga presentato anche il meno riuscito. In un giro tondo lunghissimo che sfiora le 2 ore, la regista ci racconta le vicende di tre ragazzi alle pre
se con una sorta di attentato ambientalista, tre ragazzi che si spingono così in là per difendere le loro idee e che poi si vedranno inevitabilmente a fare i conti con la coscienza. La Reichardt però sembra dimostrare quasi freddezza alla materia trattata, abbandonando i suoi personaggi a lunghe sequenze silenziose priva del pathos che servirebbe e sfociando molto, anzi, troppo spesso in una banalità disturbante. Nella prima parte non riusciamo a seguire la vicenda e le reazioni abbozzate dei personaggi, nella seconda il film sembra una brutta copia di Delitto e Castigo come se anche una bella copia non fosse già materia trita e ritrita. Al centro l'unica sequenza notevole della pellicola, calibrata e tesa, dove i nostri "eroi" si mettono al lavoro far esplodere una diga. Jesse Eisemberg sembra trovarsi bene nella parte del timido solitario, ma la sua collega Dakota Fanning no.

Voto: 2/5



4.4 IL TERZO TEMPO, di Enrico Maria Altare

Dispiace dover criticare negativamente un esordio, ma difendere questa pellicola è missione dura se non impossibile. Potremmo accusare le interpretazioni fuori luogo, la regia piatta, i buchi di sceneggiatura e le trovate narrative davvero banali e irritanti, ma il fattore più dolente della pellicola rimane la voglia di puntare a livelli cinematografici davvero di medio livello e non solo non raggiungerli, ma scivolare in una baratro profondissimo. La morale dei perdenti che si riscattano nell'ultima partita e in contemporanea nella vita, i ralenti infiniti e scontatissimi della sequenza finale, l'happy ending forzato, e chi più ne ha più ne metta, sono tutti fattori di una fantasia scarna, di una scarsissima inventiva e cultura cinematografica e di un'operazione studiata a tavolino per piacere. E infine perdonatemi, ma un film che parla di rugby, che prende il titolo da una pratica sportiva proprio di quello sport che avviene al termine di ogni partita e che sbaglia a spiegarla, proprio non dovrebbe suscitare il minimo interesse.

Voto: 1/5


domenica 1 settembre 2013

VENEZIA 70, Giorno 4 (31 Venerdi) - parte 1

4.1 CHILD OF GOD, di James Franco (concorso)

Tratto dall'omonimo romanzo di Cormac McCarthy, Child Of God è la prova che il poliedrico e giovane regista americano James Franco ci sappia davvero fare con il materiale su cui si mette al lavoro. Forse questa pellicola non rischia più del dovuto, ma sicuramente non si tratta di un film facile da realizzare. Franco scava nella personalità di un emarginato, un reietto della società, un uomo sporco, disturbato e dagli istinti infantili. Il protagonista, degnamente interpretato da Scott Haze, rimane sullo schermo per tutta la durata del film, borbottando frasi a sè stesso o alle sue prede ma senza quasi mai instaurare un vero e proprio dialogo. Un uomo solo e malvagio, ma, anche lui, un figlio di Dio, che rinasce dalle viscere della terra in un finale forse leggermente stringato ma sicuramente d'impatto. Franco ci fa respirare la puzza del male e la puzza del fango, inquadrando l'uomo e le sue relazioni (in primis con se stesso) al centro di tutto, in un percorso che in qualche modo ricorda molto quello di Joe, altro film presentato in concorso al festival pochi giorni fa, anche se, sempre rispetto a quel film, viaggia ad un marcia inferiore.

Voto: 3/5



4.2 PHILOMENA, di Stephen Frears (concorso)

Dichiariamolo sin dall'inizio, Philomena è sinora il film più emozionante visto in concorso e non solo qui alla mostra del cinema. Frears torna allo splendore a cui ci aveva abituati e lo fa quasi lavorando di contrasto rispetto a una tendenza cinematografica molto giovanile sia per autori che per stile e contenuti che sta caratterizzando il festival ma non solo. Una pellicola semplicissima, lineare, senza nessun virtuosismo particolare ma con il solo obiettivo di emozionare lo spettatore. Philomena lascia incollati alla sedia, con una storia quasi incredibile e meravigliosamente umana. Si ride e si piange in continuazione, in maniera delicata ma indelebile al tempo stesso (gran parte del merito però va riconosciuto anche alla sceneggiatura). Per arrivare ad un finale lungo il quale verrebbe voglia di alzarsi dalla sedia e gridare contro i personaggi sullo schermo come un film non succedeva da moltissimo tempo. E se poi ci mettiamo una Judi Dench in splendida forma (come al solito), allora non possiamo che avere voglia di rivederlo. Toccante.

Voto. 4/5

sabato 31 agosto 2013

VENEZIA 70, Giorno 3 (30 Giovedi)

3.1 JOE, di David Gordon Green (concorso)

Finora, il film più bello visto in concorso. Un'opera affascinante quella firmata da Green regista che ha esordito al cinema con pellicole dello stesso filone per poi darsi alla commedia demenziale. Ora torna un po' a stile e tematiche delle origini e non possiamo che essergliene grati. Joe è una tragedia delicata, curata nei minimi dettagli da una regia solidissima, fotografata egregiamente ed egregiamente interpretata da un finalmente ritrovato Nicolas Cage che potrebbe già sentire odore di Coppa Volpi. Green costruisce un film che cresce piano piano verso un finale se vogliamo scontato ma non per questo banale. Una buona parabola della società americana, degli outsider che vi prendono parte e della loro solitudine repressa. Il film parla però anche di tutti noi, di bimbi alla ricerca di un padre, di padri alla ricerca di figli, parla degli sconfitti, della violenza e dell'animo umano. Molti sentimenti, molte passioni tutte tenute sotto controllo dal regista che sembra ingabbiare i suoi personaggi, sembra volerli sempre tenere a portata di mano quasi non si fidasse delle loro reazioni. Durante la visione non ce ne accorgiamo, ma pian piano il nostro animo si identifica con quello dei personaggi e quando finalmente arrivano le botte, ci sentiamo sollevati. La violenza non risolve nulla come dimostra il finale, ma è difficile da far passare tale concetto a chi di violenza (morale) ne ha subita fin troppa. 
Nessuno scivolone, solo un senso di già visto, che però non supera lo stupore e l'emozione.

Voto: 4/5




3.2 THE CANYONS, di Paul Schrader

C'è un po' di rammarico nel dirlo, ma siamo di fronte al film più brutto passato sinora qui al lido. Il rammarico sta tutto nel nome del regista che non passerà inosservato ai più appassionati. Eppure The Canyons è davvero un film che non ti aspetti, nel senso peggiore del termine. E se pensiamo che l'autore della sceneggiatura è il grande romanziere Bret Easton Ellis, la cosa sorprende ancora di più. Sono molte le domande che verrebbero da rivolgere a Schrader, a partire dalla scelta di attori inadatti (il porno divo James Deen primo su tutti), da un'apertura tanto insignificante quanto banale (sale cinematografiche deserte che dovrebbero rispecchiare l'animo dei personaggi), una scomposizione in capitoli senza nessuna coerenza ecc. Ma se vogliamo dirla tutta, forse gli unici guizzi di lucidità che la pellicola presenta sono proprio per merito del regista, che prova a salvare una nave che affonda ad ogni minuto sempre più a causa della sua sceneggiatura quasi indecifrabile. Pochissimi applausi al termine della proiezione in sala grande, dopo i quali Schrader è uscito di corsa, quasi come se fosse stato il primo a cui il film non sia piaciuto.

Voto:1/5



3.3 L'ARTE DELLA FELICITA', di Alessandro Rak

Per chi si interessasse un minimo di animazione, non sarebbe una sorpresa sapere che in Italia anche questo settore rientra in uno dei tanti da riformulare, su cui insistere maggiormente e rischiare di più. Oltre a D’Alò e a poche altre serie televisive, i così chiamati “cartoni animati” non trovano spazio. Dunque è curioso sin dalle premesse questo lavoro di Rak, un film d’animazione pensato per un pubblico adulto. Con uno stile davvero notevole, tratti rudi, secchi, nervosi, movimenti di macchina in alcuni casi davvero notevoli così come l’impiego della luce e il montaggio. Ma il film soffre purtroppo di un problema enorme che risiede tutto nel soggetto ancor prima della brutta sceneggiatura. L’Arte della Felicità ha un copione che non sa dove vuole andare e non sa nemmeno da dove partire. In compagnia di un taxista sull’orlo della crisi esistenziale, facciamo la conoscenza di bizzarri personaggi che in qualche modo dovrebbero illuminarlo, in una Napoli buia e tempestosa che rivedrà la luce solo nel finale con una retorica che definire imbarazzante è dire poco. Si parla di tutto in questo film, ma non si riflette su nulla. La solitudine, la speranza, i sogni, la famiglia e la tanto agognata felicità sono solo alcune tematiche abbozzate e chiuse in poche sequenze, come i personaggi e come la musica che dovrebbe farla da protagonista (il taxista è un ex-musicista) e che invece risulta uno degli elementi che più infastidiscono la visione. Insomma, c’è da sperare che qualcosa si sia mosso nel settore animato, ma c’è anche da sperare che prima di lavorare su un progetto d’animazione, ci sia alle spalle un’idea cinematografica molto più studiata di questa.

voto: 2/5

venerdì 30 agosto 2013

VENEZIA 70, Giorno 2 (29 Giovedi) - parte 2

2.3 VIA CASTELLANA BANDIERA, di Emma Dante (concorso)

Esordio davvero interessante quello della Dante. Per chi non la conoscesse stiamo parlando di una tra i più affermati registi teatrali del nostro paese, che prende spunto per il suo esordio dietro la macchina da presa proprio da un suo spettacolo. Il film merita su doversi aspetti. Sulla recitazione delle 3 attrici protagonisti, sull'innovazione di realizzare un lungometraggio basato su una situazione tragicomica come quella presentata (due auto ferme una di fronte l'altra in una via stretta, nessuna delle due vuole lasciare il passaggio per prima), per il sapiente uso della macchina "cinema" difficile da adottare in un contesto del genere e soprattutto per un esordiente, per il poco approccio teatrale imposto al lavoro, per il coraggio del progetto, per riuscire a parlare dell'Italia tramite questa bella parabola, per l'impatti di diverse scene che rimarranno negli occhi dello spettatore per diverso tempo, ecc. Gli scivoloni ci sono, il film in un paio di momenti rallenta notevolmente e certe scelte di sceneggiatura risultano forse un po' troppo azzardate. Però il risultato finale è pienamente sufficiente e lascia ben sperare per altri lavori futuri. Un consiglio, sarebbe interessante confrontare questo film con E' Stato Il Figlio, del regista Daniele Ciprì, presentato sempre qui a Venezia la scorsa edizione.  

Voto: 3/5





2.4 IL SALARIO DELLA PAURA, di William Friedkin

Prima della cerimonia di premiazione per il leone d'oro alla carriera di William Friedkin, è stato proiettato questa pellicola del 1977 in versione restaurata. Una qualità incredibile per un film decisamente importante ma sicuramente non il più riuscito e topico di quelli firmati dall'autore. Un'avventura vecchio stile, giocata sui picchi di tensione, sul montaggio, sul sonoro e su inquadrature davvero pazzesche che fanno stimare ancora più i veri artigiani del cinema, quelli che la computer grafica non l'hanno mai nemmeno sentita nominare. Il Salario Della Paura è una pellicola affascinante, che esplora l'animo umano nella sua veste più infima e crudele, in relazione con altri simili, in lotta contro essi, in lotta insieme contro la natura. Ci si sente piccoli alla fine della visione, cosa che in pochi sanno trasmettere.

Voto: 4/5