sabato 31 agosto 2013

VENEZIA 70, Giorno 3 (30 Giovedi)

3.1 JOE, di David Gordon Green (concorso)

Finora, il film più bello visto in concorso. Un'opera affascinante quella firmata da Green regista che ha esordito al cinema con pellicole dello stesso filone per poi darsi alla commedia demenziale. Ora torna un po' a stile e tematiche delle origini e non possiamo che essergliene grati. Joe è una tragedia delicata, curata nei minimi dettagli da una regia solidissima, fotografata egregiamente ed egregiamente interpretata da un finalmente ritrovato Nicolas Cage che potrebbe già sentire odore di Coppa Volpi. Green costruisce un film che cresce piano piano verso un finale se vogliamo scontato ma non per questo banale. Una buona parabola della società americana, degli outsider che vi prendono parte e della loro solitudine repressa. Il film parla però anche di tutti noi, di bimbi alla ricerca di un padre, di padri alla ricerca di figli, parla degli sconfitti, della violenza e dell'animo umano. Molti sentimenti, molte passioni tutte tenute sotto controllo dal regista che sembra ingabbiare i suoi personaggi, sembra volerli sempre tenere a portata di mano quasi non si fidasse delle loro reazioni. Durante la visione non ce ne accorgiamo, ma pian piano il nostro animo si identifica con quello dei personaggi e quando finalmente arrivano le botte, ci sentiamo sollevati. La violenza non risolve nulla come dimostra il finale, ma è difficile da far passare tale concetto a chi di violenza (morale) ne ha subita fin troppa. 
Nessuno scivolone, solo un senso di già visto, che però non supera lo stupore e l'emozione.

Voto: 4/5




3.2 THE CANYONS, di Paul Schrader

C'è un po' di rammarico nel dirlo, ma siamo di fronte al film più brutto passato sinora qui al lido. Il rammarico sta tutto nel nome del regista che non passerà inosservato ai più appassionati. Eppure The Canyons è davvero un film che non ti aspetti, nel senso peggiore del termine. E se pensiamo che l'autore della sceneggiatura è il grande romanziere Bret Easton Ellis, la cosa sorprende ancora di più. Sono molte le domande che verrebbero da rivolgere a Schrader, a partire dalla scelta di attori inadatti (il porno divo James Deen primo su tutti), da un'apertura tanto insignificante quanto banale (sale cinematografiche deserte che dovrebbero rispecchiare l'animo dei personaggi), una scomposizione in capitoli senza nessuna coerenza ecc. Ma se vogliamo dirla tutta, forse gli unici guizzi di lucidità che la pellicola presenta sono proprio per merito del regista, che prova a salvare una nave che affonda ad ogni minuto sempre più a causa della sua sceneggiatura quasi indecifrabile. Pochissimi applausi al termine della proiezione in sala grande, dopo i quali Schrader è uscito di corsa, quasi come se fosse stato il primo a cui il film non sia piaciuto.

Voto:1/5



3.3 L'ARTE DELLA FELICITA', di Alessandro Rak

Per chi si interessasse un minimo di animazione, non sarebbe una sorpresa sapere che in Italia anche questo settore rientra in uno dei tanti da riformulare, su cui insistere maggiormente e rischiare di più. Oltre a D’Alò e a poche altre serie televisive, i così chiamati “cartoni animati” non trovano spazio. Dunque è curioso sin dalle premesse questo lavoro di Rak, un film d’animazione pensato per un pubblico adulto. Con uno stile davvero notevole, tratti rudi, secchi, nervosi, movimenti di macchina in alcuni casi davvero notevoli così come l’impiego della luce e il montaggio. Ma il film soffre purtroppo di un problema enorme che risiede tutto nel soggetto ancor prima della brutta sceneggiatura. L’Arte della Felicità ha un copione che non sa dove vuole andare e non sa nemmeno da dove partire. In compagnia di un taxista sull’orlo della crisi esistenziale, facciamo la conoscenza di bizzarri personaggi che in qualche modo dovrebbero illuminarlo, in una Napoli buia e tempestosa che rivedrà la luce solo nel finale con una retorica che definire imbarazzante è dire poco. Si parla di tutto in questo film, ma non si riflette su nulla. La solitudine, la speranza, i sogni, la famiglia e la tanto agognata felicità sono solo alcune tematiche abbozzate e chiuse in poche sequenze, come i personaggi e come la musica che dovrebbe farla da protagonista (il taxista è un ex-musicista) e che invece risulta uno degli elementi che più infastidiscono la visione. Insomma, c’è da sperare che qualcosa si sia mosso nel settore animato, ma c’è anche da sperare che prima di lavorare su un progetto d’animazione, ci sia alle spalle un’idea cinematografica molto più studiata di questa.

voto: 2/5

venerdì 30 agosto 2013

VENEZIA 70, Giorno 2 (29 Giovedi) - parte 2

2.3 VIA CASTELLANA BANDIERA, di Emma Dante (concorso)

Esordio davvero interessante quello della Dante. Per chi non la conoscesse stiamo parlando di una tra i più affermati registi teatrali del nostro paese, che prende spunto per il suo esordio dietro la macchina da presa proprio da un suo spettacolo. Il film merita su doversi aspetti. Sulla recitazione delle 3 attrici protagonisti, sull'innovazione di realizzare un lungometraggio basato su una situazione tragicomica come quella presentata (due auto ferme una di fronte l'altra in una via stretta, nessuna delle due vuole lasciare il passaggio per prima), per il sapiente uso della macchina "cinema" difficile da adottare in un contesto del genere e soprattutto per un esordiente, per il poco approccio teatrale imposto al lavoro, per il coraggio del progetto, per riuscire a parlare dell'Italia tramite questa bella parabola, per l'impatti di diverse scene che rimarranno negli occhi dello spettatore per diverso tempo, ecc. Gli scivoloni ci sono, il film in un paio di momenti rallenta notevolmente e certe scelte di sceneggiatura risultano forse un po' troppo azzardate. Però il risultato finale è pienamente sufficiente e lascia ben sperare per altri lavori futuri. Un consiglio, sarebbe interessante confrontare questo film con E' Stato Il Figlio, del regista Daniele Ciprì, presentato sempre qui a Venezia la scorsa edizione.  

Voto: 3/5





2.4 IL SALARIO DELLA PAURA, di William Friedkin

Prima della cerimonia di premiazione per il leone d'oro alla carriera di William Friedkin, è stato proiettato questa pellicola del 1977 in versione restaurata. Una qualità incredibile per un film decisamente importante ma sicuramente non il più riuscito e topico di quelli firmati dall'autore. Un'avventura vecchio stile, giocata sui picchi di tensione, sul montaggio, sul sonoro e su inquadrature davvero pazzesche che fanno stimare ancora più i veri artigiani del cinema, quelli che la computer grafica non l'hanno mai nemmeno sentita nominare. Il Salario Della Paura è una pellicola affascinante, che esplora l'animo umano nella sua veste più infima e crudele, in relazione con altri simili, in lotta contro essi, in lotta insieme contro la natura. Ci si sente piccoli alla fine della visione, cosa che in pochi sanno trasmettere.

Voto: 4/5






VENEZIA 70, Giorno 2 (Giovedi 29) - parte 1

2.1 WHY DON'T YOU PLAY IN HELL, di Sion Sono


Dopo aver riflettuto riguardo al post Fukushima con i suoi ultimi 2 drammi (Himizu e The Land Of Hope), Sion Sono si concede una piccola parentesi più leggera e ludica con questa commedia dalle tinte demenziali e metacinematografiche. Il regista nipponico (molto famoso e stimato nell'ambiente festivaliero, 2 anni fa Torino gli dedicò una retrospettiva) crea un omaggio ad un cinema che non c’è più, un omaggio alla pellicola, all’artigianalità di quest’arte e alla passione di giovani aspiranti "artigiani". Lo fa con quest’opera divertente e leggere ma comunque complessa nella sua struttura narrativa (3 diversi piani e 3 diverse storie con altrettanti protagonisti, che si intrecceranno nella seconda parte) e nel suo girato. Sono dimostra di saperci fare e soprattutto di sapere dove voler condurre la sua flotta. Il film, oltre a riflettere in qualche modo su se stesso, ha come filone comune di tutte le storie la ricerca del proprio obiettivo. Ogni personaggio ha un sogno e vuole portarlo a termine. Sembra una morale un po’ da adolescenti, e forse lo è, viste anche le tinte di cui spesso viene ricoperto il film. Un giochino cinefilo e autoreferenziale che (si) diverte. Però il lavoro alla lunga stanca un po’ e diventa eccessivo. Una prima parte troppo prolissa per presentare tutti i piani narrativi e i personaggi, non è calibrata da una seconda parte molto scherzosa e citazionista ma altrettanto lunga e a tratti esagerata. Insomma, lo scherzo è bello, ma se fosse durato poco sarebbe stato meglio.


Voto: 3/5



2.2 TRACKS, di John Curran (concorso)

Tratto da una storia vera molto interessante, il film di John Curran narra dell’avventura di una ventenne australiana (una Mia Wasikowska in splendida forma) che con 4 cammelli e un cane decide di intraprendere un viaggio in piena solitudine attraverso il deserto del suo continente.  Onestamente, il concorso veneziano poteva benissimo fare a meno di un film del genere: tanto lungo e noioso quanto inutile. Curran gira bene per carità, si affida a una grande prova d’attrice e a panorami mozzafiato, ma non si capisce proprio dove voglia andare a parare. La protagonista così come ci viene presentata in maniera molto stereotipata , dopo quasi due ore di cammino (che nella vicenda reale coincisero circa con 6 mesi) che cambierebbero la vita anche al meno sensibile di tutti noi, ci viene ripresentata tale e quale. Un film con scopi e competenze completamente diverse da Into The Wild ma che prova malamente ad assomigliargli.  Alla fine della visione si rimane meravigliati solo di un fatto, l’esistenza dei cammelli in Australia.

Voto: 2/5

giovedì 29 agosto 2013

VENEZIA 70, Giorno 1 (Mercoledi 28) - parte 2

1.2 VENEZIA 70 FUTURE RELOADED, di AA. VV. 

Presentato come "progetto speciale", Venezia 70 Future Reloaded si presenta come un'opera interessante sulla carta. Infatti, per omaggiare l'importante anniversario della mostra del cinema di Venezia, 70 diversi registi provenienti da tutto il mondo, che durante la loro carriera sono passati con i loro film qua al Lido, hanno composto 70 diversi cortometraggi di lunghezza massima 90 secondi, che riflettessero sul futuro del cinema e omaggiassero in qualche modo la mostra. 

Ora, il difetto del film ricade sicuramente sul rischio più grande in cui un'opera di questo tipo incombeva, ovvero la monotonia. 70 corti sono davvero tanti, inoltre, se sono legati gli uni agli altri semplicemente da un cartello che ne indica gli autori, la cosa non aiuta. 

In pochi hanno omaggiato la mostra, in pochi sono riusciti a riflettere in maniera divertente e originale sul cinema e sul suo futuro, in molti si sono lasciati andare alla retorica e a scelte stilistiche che caratterizzano di più i video artisti invece che i registi cinematografici. 

Forse un'attenzione maggiore da parte dei curatori avrebbe aiutato. Così facendo, il mosaico di cortometraggi rimane sulla carta qualcosa di molto interessante e anche stimolante per un anniversario del genere, ma gran parte del potenziale è sfruttato poco.

Notevoli i lavori di Maresco, Ferrario, Kim - Ki Duk, Shinya Tsukamoto, Abbas Kiarostamis e Giorgos Lanthimos.

Voto: 2/5



1.3 GERONTOPHILIA, di Bruce LaBruce 

Provocatore per eccellenza, il canadese Bruce LaBruce presenta il suo ultimo film nelle Giornate degli Autori veneziane. 
gerontophilia-il-teaser-poster-del-film-281678
Facendo un po' marcia indietro rispetto all'estremismo che aveva caratterizzato le sue opere precedenti, il regista però insiste sui temi che gli stanno più cari. La trama ne è da esempio: il racconto di una relazione omosessuale tra un giovanotto e un anziano signore prossimo alla morte (la gerontofilia del titolo, appunto).

Tema e situazioni piuttosto delicate che richiederebbero forse più attenzione e meno provocazione per essere trattate in maniera più esaustiva e meno leggiadra di come invece LaBruce decide di fare. Alcune sequenze sono interessanti e ben girate, LaBruce non è un novellino. Ma il senso che domina la pellicola è quasi spaesamento. Non si capisce bene dove il regista voglia puntare, mescola e rimescola le carte in tavola, alterna stili e situazioni drammaturgiche differenti, si concentra sui corpi per poi passare alle emozioni, ritornare a riflettere sull'età, sull'omosessualità, la malattia ecc. Il tutto in un minestrone confuso disorientato e disorientante. 

Voto: 2/5

VENEZIA 70, Giorno 1 (Mercoledi 28) - parte 1

Ieri ha preso ufficialmente il via l'edizione numero 70 della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. 
10 giorni in cui il cinema e il glamour la faranno da padrone. 10 giorni in cui le attenzioni di tutto il mondo si sposteranno sul lido veneziano. Ma soprattutto 10 giorni di cinema.
Cominciamo!!



1.1 GRAVITY, di Alfonso Cuaròn

Diciamolo subito, la mostra non poteva trovare titolo più giusto per essere inaugurata. Gravity, di Alfonso Cuaròn, è il film che ogni direttore di mostra vorrebbe (e dovrebbe) avere per inaugurare un festival. Ci sono tutte le credenziali per attirare l'attenzione del grande pubblico (attori importanti quali George Clooney e Sandra Bullock, un regista interessante, una trama semplice ma avvincente, effetti speciali ecc.). Ma Gravity non è solo questo, anzi. 

Cuaròn fa letteralmente salire su una giostra sia i suoi personaggi che i suoi spettatori. Lo dichiara sin dall'incipit: un piano sequenza incredibile, unico, estremo, rischioso e riuscitissimo. Il regista era già famoso come maestro di tale tecnica di ripresa (si veda I Figli Degli Uomini), ma ora si consacra quale numero 1 indiscusso. 
Per il primi 20 minuti del film, noi siamo esattamente lassù, dove si trovano i nostri eroi, ad ammirare inizialmente la bellezza galattica dello spazio per poi venirne poco a poco inglobati fino a rischiare di morire. 20 minuti in cui si danza senza gravità e senza montaggio. 20 minuti che costituiscono anche una sorta di continuo evolversi del cinema. Non c'è più la pellicola, non ci sono più limiti temporali per comporre un'inquadratura, insomma, al giorno d'oggi, grazie al digitale, Hitchcock avrebbe girato Nodo Alla Gola senza dover ricorrere a nessun trucchetto. Cuaròn lo sa, ma proprio come sir Alfred, non si accontenta. Allora anche lui escogiterà qualche trucco per comporre le sue inquadrature spacciandole poi per un'unica lunga ripresa che come pregio non ha solo il fatto di essere lunga, ma quello di essere quasi impossibile da realizzare. Proprio come Nodo Alla Gola.

La perizia tecnica che caratterizza l'incipit della pellicola si rivelerà una costante di Gravity. Il regista osa moltissimo, lascia fluttuare oggetti, usa in maniera divina la terza dimensione, si diverte a giocare con il sonoro (ricordatevi che nello spazio il suono non si propaga) e posiziona la macchina da presa in punti quasi impensabili, facendola muovere come se essa fosse un personaggio vero e proprio, alternando soggettive e finte tali. 

Ma il tassello vincente di Gravity forse è un altro. Il regista stesso ha dichiarato che si tratta di un film semplice a livello tematico, e in realtà lo è, ma solo in apparenza. La malinconia, lo stupore, la bellezza della natura, il terrore del vuoto, la claustrofobia, la rinascita. Ecco di cosa parla Gravity, e lo fa solo con 2 attor(on)i in scena, ritagliandosi di diritto un posto tra i più alti film di genere. Genere che viene spesso omaggiato lungo il correre dei minuti, o meglio, viene fatto quasi riecheggiare (scomodiamolo pure Kubrick, senza paura di confrontarci con qualcosa di troppo alto). 

Peccato che alla fine di tutto Cuaròn decida però di lasciarsi andare ad una retorica troppo evidente e fastidiosa, costruendo un finale che fa acqua da tutte le parti (vedere per credere) e che non fa rientrare il lavoro nella schiera dei "grandissimi" ma solo dei "grandi". 15 minuti in meno e avremmo avuto il capolavoro.

Voto. 4/5