venerdì 5 settembre 2014

VENEZIA 71. GIORNO 10 (Venerdi 5 Settembre)

GOOD KILL, di Andrew Niccol (concorso)

Ultimo film a essere presentato in concorso e forse sinora peggior concorrente di questa selezione. Il thriller ambientato a Las Vegas in una base militare che a distanza bombarda il suolo palestinese è la solita minestra riscaldata di un militare in crisi esistenziale che inizia a essere stufo di dover eseguire ordini come una marionetta senza poter avere voce in capitolo. Il tutto sarà alla base dei suoi problemi che, ovviamente, coinvolgeranno anche la relazione con sua moglie. L’happy ending è tanto scontato quanto fastidioso, ma soprattutto il percorso che il personaggio compie prima di arrivare ai minuti finali rende la pellicola a tratti anche offensiva nei confronti di chi quei drammi li vive davvero. Una superficialità contenutistica presente per tutta la durata del lavoro, unita ad attori in scarsa forma e ad una tensione che manca (elemento piuttosto significativo per un film che rientra in questo genere) sono i fattori che contribuiscono al fiasco. Viene da chiedersi come mai sia entrato nella selezione ufficiale veneziana.



PEREZ, di Edoardo De Angelis (fuori concorso)
Lo spunto iniziale di questo thriller intimista diretto da De Angelis è molto interessante. Perez è un avvocato di serie C interpretato degnamente da Zingaretti che si infila in affari con la Camorra da cui poi cercherà di uscirne per salvare lui e sua figlia. Il film però perde ben presto l’impatto ed il brio iniziale andando a costruire una storia poco credibile e ben lontana dai binari su cui inizialmente viaggiava. Per far fronte a ciò, De Angelis punta tutto sull’interpretazione centrale e riuscita di Zingaretti ma sembra quasi tralasciare il resto degli elementi che quindi gravano sulla mancata riuscita finale. L’opera comunque sia è una delle migliori pellicole italiane presentate in rassegna al Lido ed è curioso notare come ancora una volta (dopo Anime Nere, Patria, La Trattativa, Belluscone, Arance e Martello) i film nostrani sembrino essere interessati alla criminalità organizzata, ambientando storie e personaggi in universi che orbitano attorno a questa sfera. Siamo di fronte ad una vera e propria passione tematica che porta gli autori a voler denunciare propriamente queste realtà, oppure è l’ennesima crisi di idee che spinge i produttori a spremere fino all’ultimo centesimo la nuova gallina dalle uova d’oro nata sotto il nome di Gomorra?

VENEZIA 71. GIORNO 9 (Giovedi 4 Settembre)

LA TRATTATIVA, di Sabina Guzzanti (fuori concorso)

Che piaccia o meno, Sabina Guzzanti propone sempre dei film che si avvalgono degli stessi pregi e degli stessi difetti delle pellicole precedenti. Il pregio de La Trattativa è quello di riuscire ancora una volta a descrivere in maniera chiara, semplice, lineare, a tratti originale, divertente e satirica una tra le più scottanti e crude realtà del nostro Paese, ovvero la trattativa (o presunta tale) tra governo italiano e Mafia avvenuta attorno alla prima metà degli anni '90.
I difetti della pellicola però, come sempre, riguardano la sfera contenutistica. La Guzzanti non va mai oltre il noto o il reperibile costruendo dunque documentari stimolanti per i neofiti alla materia, ma inutili per chi invece conosce già minimamente l'argomento. Inoltre, la regista spesso alza l'asticella sostenendo tesi interessanti e molto critiche, ma non porta le dovute argomentazioni e le prove necessarie per convincere il pubblico che effettivamente la sua è una posizione veritiera.


BURYING THE EX, di Joe Dante (fuori concorso)

Joe Dante è da sempre un regista giocherellone che ama divertirsi come un bambino realizzando i suoi film. Piccoli mostriciattoli, giocattoli militari, toni horrorifici e stravaganti sono solo alcuni esempi del cinema che il regista mette in scena. Con questo suo ultimo lavoro non ci risparmia nulla, raccontando una "classica" storia d'amore (dove lui vorrebbe lasciare lei ma non ha il coraggio di farlo anche se l'arrivo della terza dovrebbe stimolarlo maggiormente) ma facendolo in salsa "zombie". Il film non ha nessuna pretesa autoriale, è divertente, scorrevole e con i giusti tempi comici (si ride molto). Ma la bravura del regista è anche quella di riuscire a gestire tutto questo materiale presentandolo attraverso diversi generi cinematografici. Una sorta di "jam session" efficace e cinefila che farà contenti sia gli spettatori più esperti ed esigenti, che il pubblico meno appassionato.


VENEZIA 71. GIORNO 8 (Mercoledi 3 Settembre)

PASOLINI, di Abel Ferrara (concorso)

Il lavoro prova ad indagare gli ultimi giorni di vita dell’autore italiano ma purtroppo risulta poco lucido, frettoloso e a tratti amatoriale. Sia per una regia posticcia, sbadata, poco curata nei dettagli, sia per una sceneggiatura del tutto superficiale e dai poveri contenuti filologici (viene da chiedersi se Ferrara abbia studiato le opere dell’autore prima di mettersi al lavoro per questo titolo), Pasolini delude soprattutto nella parte finale troppo buonista e onirica.





A PIGEON SAT ON A BRANCH REFLECTING ON EXISTENCE, di Roy Andersson (concorso)

Ultima fatica del veterano regista svedese Roy Andersson. Composto da 39 inquadrature fisse, studiate alla perfezione nella composizione e facenti da “palcoscenico” per gli attori che vi sfileranno dentro e interagiranno con lo spazio, la pellicola è di ottima fattura anche per i contenuti che continuano a stuzzicare riflessioni legate all’esistenza umana senza mai però appesantire la visione. Il film infatti è molto ironico e spiritoso, affascinante e divertente, con dei personaggi molto buffi e grotteschi che provano ad evadere dalla scena in cui sono collocati e, di conseguenza, dal loro piccolo mondo. Gli ambienti del film infatti, sono una chiara metafora alla vita ed al mondo in cui viviamo, sempre soggetto all’imprevedibile e in continuo mutamento. Un piccolo gioiellino, speriamo che la giuria ne riconosca le doti.


RITORNO A ITACA, di Laurent Cantet (giornate degli autori)

Laurent Cantet è il regista palma d’oro a Cannes per il film La classe. Il suo nuovo lungometraggio però non convince del tutto come il suo lavoro precedente, mettendo in scena degli amici chiacchieroni che parlano della vita e portano alla luce dei rancori passati e mai affrontati faccia a faccia. Ricercando lo stile del film che gli valse il primo premio a Cannes, il regista incolla la macchina da presa ai personaggi proprio per cercare di scovare ogni singola espressione del viso e ricercare emozioni. Emozioni che però non arrivano alla spettatore troppo annoiato dal minutaggio della pellicola e dalle battute poco frizzanti dei dialoghi. Alcuni passaggi sono degni di nota, il film è ambientato a Cuba e il regista vince la sfida di riuscire a far respirare l’aria del posto pur senza inquadrare la città e l’ambiente, ma questo non basta per rendere l’opera qualcosa di valido al cento per cento.

mercoledì 3 settembre 2014

VENEZIA 71. GIORNO 7 (Martedi 2 Settembre)

IL GIOVANE FAVOLOSO, di Mario Martone (concorso)

Terzo e ultimo film italiano presentato in concorso a Venezia, Il Giovane Favoloso è un'opera complessa, ricca di stimoli per lo spettatore e convincente grazie al lavoro dettagliatissimo che il regista ha apportato a sceneggiatura, direzione degli attori (Elio Germano enorme come sempre), messa in scena e lavoro filologico. Inoltre, la sfida alla base era molto ostile e rischiosa, raccontare l'intimo di Giacomo Leopardi. Il film pecca forse di un'eccessiva lunghezza e di un ritmo piuttosto lento, ma Martone si mette subito in mostra cercando di ricostruire dei veri e propri quadri pittorici che facciano da scenari davanti ai quali far muovere ed interagire i suoi attori (non dimentichiamoci che il regista arriva dal teatro, e tale impostazione si sente molto in questo lavoro). Il Leopardi di Germano ripercorrerà tutta la sua carriera letteraria, entrando in contatto con tutte le sfere d'interesse che da sempre caratterizzano il suo corpus come il pessimismo, la malinconia e il rapporto con la natura. Il film dosa tutti gli elementi e funziona in un climax ideale che termina in un epico e commovente finale. Da vedere.


NOBI, di Shinya Tsukamoto (concorso)

Il concorso veneziano sembra aver intrapreso una strada migliore, finalmente. Nobi, diretto dal nipponico Tsukamoto che torna al Festival a tre anni di distanza dal suo ultimo lavoro, è un concentrato audiovisivo violento e cinico, ambientato su un'isola delle Filippine sul finire della Seconda Guerra Mondiale. L'opera ha uno scopo unico, immedesimare il più possibile lo spettatore con i soldati protagonisti della vicenda e calarlo in mezzo alle bombe. Per raggiungere l'obiettivo, Tsukamoto, intelligentemente, si avvale delle nuove tecnologie senza abusare di effetti speciali (che anzi risultano posticci e artigianali), ma mixando in maniera eccellente, martellante e senza un attimo di pausa musica elettronica, effetti sonori acuti e immagini esplosive e sanguinolenti. Una visione totalmente avvolgente e cruda, che non riserva la minima pietà così come non lo fanno i suoi protagonisti. Anche se psicologicamente inferiore ad altri suoi titoli precedenti, Nobi convince senza nessuna riserva.

I NOSTRI RAGAZZI, di Ivano De Matteo (giornate degli autori)

E' un prodotto strano questo nuovo film di Ivano De Matteo, una pellicola incentrata sul senso di giustizia, sulla responsabilità delle proprie scelte, sui rapporti familiari a 360 gradi (marito/maglio, gnitori/figli, fratelli ecc.) ma che non riesce a convincere fino in fondo soprattutto sul piano narrativo. La storia (interpretata degnamente da tutti gli attori tra i quali svettano Alessandro Gassmann, Luigi Lo Cascio, Giovanna Mezzogiorno e Barbara Bobulova) cresce bene fino alle battute d'arrivo in cui sembra che il regista non sappia come chiudere le vicende e si affidi dunque ad un finale sbrigativo e poco convincente. I Nostri Ragazzi cerca di mettere a confronto due famiglie diverse per tipologia e ideologia cercando poi di farle collidere. Il punto più debole è proprio la collisione di queste due sfere che promettono tempesta ma che in realtà poi sfociano in un debole temporale.




martedì 2 settembre 2014

VENEZIA 71. GIORNO 6 (Lunedi 1 Settembre)

HUNGRY HEARTS, di Saverio Costanzo (concorso)

Saverio Costanzo, affermato regista italiano spesso ospite del Lido di Venezia, intraprende un viaggio in America per girare il suo ultimo film, Hungry Hearts. La pellicola prova ad indagare il rapporto tra marito e moglie di una coppia solidissima nel momento della svolta più importante della loro vita, la nascita di un bambino. L'isteria e le forti convinzioni nutrizionistiche della mamma del neonato, porteranno il bambino a rischiare la vita e il padre a ribellarsi cercando soluzioni estreme pur di far fronte al problema. Il film ha un buono spunto iniziale e accompagna lo spettatore passo dopo passo fin dentro la tragedia, ma da quando l'opera inizia ad entrare nel vivo, la bussola del regista perde qualsiasi coordinata. Provando ad avvalorare il tutto in maniera ingenua con scelte registiche elementari ed ingenue (come l'accompagnamento musicale totalmente forzato) che dovrebbero mirare ad una maggiore tensione e claustrofobia, Costanzo rischia di ridicolizzare un prodotto che aveva tutte le carte in regola per poter diventare un buon film.


ALTMAN, di Ron Mann (Venezia classici - documentari)

Si respira un grande senso di malinconia in questa opera documentaristica capace di compiere una carrellata, seppur frettolosa (2 minuti circa per ogni titolo), della lunga carriera cinematografica e televisiva di Robert Altman. Mann ha a disposizione moltissime e preziosissime immagini di repertorio dove l'eroe della sua pellicola può ancora dire la sua in prima persona. Il documentario lavora per sottrazione, intervistando diversi attori illustri (tra i quali anche il defunto Robin Williams) chiedendo ad ognuno di loro di definire a piacimento l'aggettivo "altmaniano", riesce a divertire grazie all'ironia prorompente di Altman stesso durante alcuni sui interventi televisivi e/o universitari, riesce a fare un affresco veloce dei mutamenti di Hollywood negli ultimi 50 anni circa (questo il periodo di attività del regista) e soprattutto ne costruisce un sincero omaggio. Il problema di lavori come questo però è che gli obiettivi appena descritti e pienamente raggiunti dalla pellicola, siano quasi una sorta di punto di partenza imprescendibile, infatti se si vuole omaggiare e ripercorrere la carriera di un autore, non si può non iniziare da questi elementi. Ecco allora che la critica che si può muovere al film è proprio quella di non inventarsi nulla di nuovo, di non rischiare nemmeno un po', rimanendo dunque in una struttura più classica e superata visti gli sviluppi notevoli che il genere documentario sta avendo da diversi anni a questa parte.

lunedì 1 settembre 2014

VENEZIA 71. GIORNO 5 (Domenica 31 Agosto)

THE BOXTROLLS 3D, di Anthony Stacchi e Graham Annable (fuori concorso)

Attesissimo ritorno sul grande schermo di una delle più fresche e attive case di produzione di cinema d'animazione a passo uno (ovvero in stop motion) che dopo averci deliziato con Coraline e la porta magica e Paranorman, sbarca al Lido col suo ultimo lavoro che, diciamolo sin da ora, risulta essere il più debole della carriera. Boxtrolls si avvale di un'animazione fluida ed efficace, di un 3D sopportabile ma ingiustificato, ma quel che più noce al film è la struttura di una storia troppo elementare e per nulla innovativa (quindi l'esatto contrario delle caratteristiche che erano presenti nei titoli precedenti). I bambini si divertiranno di sicuro e la morale è garantita, però da questo team già consolidato ed assodato ci si potrebbe e ci si dovrebbe aspettare di meglio. Peccato.


THE CUT, di Fatih Akin (concorso)

Altro scivolone del concorso veneziano che proprio non riesce a decollare. The Cut, dopo essere stato scartato dalle selezioni di altri importanti festival quali quello di Cannes e Berlino, sbarca a Venezia nella sezione principale e dimostra tutta la sua inadeguatezza per poter svettare. Il film è lungo ma non noioso (nota di merito), potenzialmente molto elevato e con una storia di impatto classico (una guerra dividerà una famiglia e il nostro eroe inizierà un viaggio di ritorno lunghissimo e carico di insidie), ma lo stile adottato dal regista (troppo elementare e colorato), la sceneggiatura prolissa (soprattutto nella seconda parte) inutilmente, lo sguardo ammiccante ad una retorica spicciola e mirata alla lacrima facile (vedi il patetico finale) non aiutano alla buona riuscita della pellicola. Infine, altro errore da non sottovalutare, la scelta sbagliata di un attore protagonista poco espressivo che per più di due ore è costantemente al centro dell'inquadratura, porta ben presto noi spettatori a stufarci. Giusto però anche sottolineare il buono del lavoro rappresentato in prima battuta da un commento musicale compatto e contrastante con le immagini che vengono mostrate. Non dimentichiamoci che il presidente della giuria di quest'anno è un compositore.

VENEZIA 71. GIORNO 4 (Sabato 30 Agosto)

SENZA NESSUNA PIETA', di Michele Alhaique (orizzonti)

Ennesimo film italiano incentrato su una storia di malavita e di solitudini che si incontrano per aiutarsi e completarsi a vicenda. Lo spunto iniziale di questo lavoro però sembra essere più debole rispetto ad altri prodotti simili, eppure il regista grazie ad una regia dinamica, ben curata, ad attori capaci e mai sotto tono (Favino e Giannini su tutti), ad un uso sapiente dell'intervento musicale, riesce a portare la barca in porto senza affondare del tutto.
Alhaique sceglie uno stile dinamico, serrato e con una vicinanza della macchina da presa molto ridotta rispetto al volto degli attori, così da poterne cogliere tutte le emozioni. Un pizzico di studio in più a livello di scrittura avrebbe sicuramente giovato alla riuscita della pellicola, ma anche così non c'è male.


SHE'S FUNNY THAT WAY, di Peter Bogdanovich (fuori concorso)

Doveroso spendere due righe per lodare l’ultima pellicola del veterano Peter Bogdanovich che fuori concorso ha presentato la commedia She’s Funny That Way, una sorta di omaggio alle screwball comedy della Hollywood classica, giocata tutta sugli equivoci, con una sceneggiatura perfettamente calibrata e dialoghi frizzanti. Girato tutto in interni, il film si diverte e ci diverte nel massacrare i suoi personaggi, dipingendo una società egoista e ruffiana della quale però, come suggerisce il titolo, è giusta a volte riderci sopra e prenderla così com’è. In ottima forma il cast (tra i vari nomi ricordiamo Owen Wilson e Jennifer Aniston) che sicuramente regala una marcia in più a questo prodotto che riesce a mescolare la giusta dose di malinconia e serenità.


BELLUSCONE. UNA STORIA SICILIANA, di Franco Maresco (orizzonti)

Torna dietro la macchina da presa il mitico e grottesco Franco Maresco con un documentario (o mokumentario?) divertente, ritmato, provocatorio, affascinante che si ripropone di raccontare l'influenza di Silvio Berlusconi sull'isola siciliana. Attraverso interviste a personaggi dello spettacolo (soprattutto cantanti neomelodici), comici televisivi, cittadini eccetera, il regista sferza un attacco satirico fresco ed originale, che mette sotto la lente lo scottante tema della mafia, della sua influenza sui cittadini e del suo rapporto con le alte sfere statali. Una bella boccata d'acqua fresca per questa Mostra veneziana che sinora ha regalato ben pochi titoli memorabili e/o godibili.



sabato 30 agosto 2014

VENEZIA 71. GIORNO 3 (Venerdi 29 Agosto)

99 HOMES, di Ramin Bahrani (concorso)

Sinora il concorso del Festival sta stentando a decollare. Eccetto il documentario di Joshua Oppenheimer (di cui vi parlo poco più sotto), i film di fiction sono piuttosto piatti e poco convincenti. 99 Homes invece sembra essere il prodotto meglio confezionato sia dal punto di vista della scrittura (ottima la sceneggiatura vivace e in costante tensione) che della regia e dell'interpretazione degli attori (primo su tutti Michael Shannon). Il film indaga una realtà molto attuale e poco affrontata dal cinema, costruendo una storia di loschi agenti immobiliari che si arricchiscono sfrattando dalle proprie abitazione le persone più povere. Il protagonista dovrà sporcarsi le mani se vorrà rimanere a galla in questo mare di squali, e da vittima si trasforma in carnefice attraverso un percorso credibile e dosato. Il film però, in una seconda parte più canonica e frettolosa, sposta la sua lente su riflessioni abbastanza scontate come il valore delle proprie scelte morali a discapito di una cinicità dettata dalla legge della giungla. Risultando dunque meno profondo e perfetto di quanto possa apparire, 99 Homes rimane comunque uno dei titoli più apprezzati per il momento.


THE LOOK OF SILENCE, di Joshua Oppenheimer (concorso)

Invece convince pienamente e lascia il segno l’ultimo lavoro di Joshua Oppenheimer che, dopo aver sorpreso (in maniera positiva) e scandalizzato le platee di tutto il mondo con The Act of Killing, torna sullo stesso tema dirigendo il documentario The Look of Silence. Il film si apre in maniera didascalica per dare le giuste coordinate allo spettatore: Indonesia, 1965. Gli uomini al potere (ancora oggi a capo dello Stato) compiono uno sterminio di massa (le cifre stimate ruotano attorno al milione)anti comunista. Uno dei tanti genocidi clamorosamente poco ricordati della Storia. Con The Act of Killing, il regista provò a portare sotto i riflettori i fatti andando ad intervistare i diretti responsabili. In The Look of Silence, Oppenheimer gira la macchina da presa di 180 gradi, prendendo il punto di vista di chi il genocidio l’ha subito, anche se in maniera indiretta. Infatti il protagonista del film è un oculista che ha perso il fratello proprio a causa di queste esecuzioni. Nell’aiutare i suoi pazienti a mettere a fuoco la vista, il film cerca di mettere a fuoco (frequenti le inquadrature strette attorno alla montatura degli occhiali medici) una realtà ancora troppo nascosta e sconosciuta. Il confronto con il titolo precedente risulta quasi obbligato perchè sono troppi i richiami e i legami che le due pellicole condividono. Ma sotto la superficie, i lavori sono piuttosto diversi tra loro.  Stilisticamente parlando, The Look of Silence si avvale di una regia più canonica e “classica” (forse un po’ troppo fredda e studiata in alcuni momenti), di sicuro profondamente distante dalle immagini più grezze e spontanee di The Act of Killing. Dal punto di vista dei contenuti invece, The Act of Killing (che dura quasi il doppio) informa lo spettatore su diverse questioni che in The Look of Silence sono date quasi per risapute. La funzione meramente istruttiva viene leggermente meno, ma è moralmente parlando che il film lascia il segno più profondo nello spettatore. Oppenheimer sembra soddisfatto del suo titolo precedente e  vuole cambiare rotta, insistere nell’indagine dell’essere umano. Perché queste persone sono ancora al governo o non sono mai state imputate? Come si può vivere senza un minimo peso sulla coscienza dopo aver compiuto tali azioni? Perché il fratello di una vittima, agli occhi di ogni intervistato è visto come un emarginato da trascurare?  Sempre rispettando la neutralità dello sguardo, il regista realizza dunque un film sicuramente riuscito, anche se a tratti lievemente altalenante, ripetitivo e mai così spiazzante come fu il precedente, ma che lascia il segno di un’umanità dilaniata e dilaniante su cui riflettere a lungo.


ANIME NERE, di Grancesco Munzi (concorso)

Primo film italiano in concorso, Anime Nere è un affresco del nostro Paese prima ancora che della criminalità organizzata. Amicizie, famiglie, sogni, passioni, tutto si frantuma di fronte ad una strada violenta e spietata, una strada che cerca la scorciatoia delle minacce per ottenere tutto e subito ma che inevitabilmente porterà ad una destinazione poco felice. Francesco Munzi lavora bene con gli attori e nel ricostruire un ambiente piccolo, sporco, claustrofobico dal quale non si riesce a trovare via di fuga (macchina da presa molto vicina agli sguardi e ai corpi dei personaggi), però in fin dei conti il suo film non aggiunge nulla di nuovo a quanto già detto e ridetto negli ultimi anni, soprattutto da noi in Italia dove il fenomeno Gomorra, tra libri film e serie tv, ha dato i suoi (buoni) frutti. Anime Nere è un'opera che non intacca mai fino in fondo lo spettatore, che non indaga più del solito l'ambiente camorristico e che non propone una chiave di lettura nuova o originale. Eppure la pellicola si lascia guardare anche se ostacolata da una sceneggiatura un po' troppo macchinosa che ci mette tanto ad ingranare. Per questi motivi alla fine della proiezione il regista si merita i nostri applausi. Consegnare questo progetto in una mano meno esperta o appassionata, non avrebbe sicuramente dato lo stesso risultato.

venerdì 29 agosto 2014

VENEZIA 71. GIORNO 2 (Giovedi 28 Agosto)

MESSI, di Alex De La Iglesia (giornate degli autori)

Alex De La Iglesia ha  da sempre dimostrato di possedere un talento visionario fuori dal comune. Le aspettative per un documentario eccellente c'erano tutte data la firma del regista e lo sviluppo che, soprattutto negli ultimi anni, i documentari stanno avendo. Invece Messi è un film non riuscito, che cerca di raccontare più da vicino la storia di uno dei giocatori più forti al mondo, ma non resta che in superficie. Mescolando interviste con calciatori, ct, insegnanti scolastici ed amici d'infanzia a sequenze di fiction, il regista si ferma al primo step nel suo raccontare, quello delle curiosità (che tra l'altro, a ben vedere non sono poi così tante) per poi passare ad osannare il suo beniamino innalzandolo alla figura di Santo. Un consiglio, se volete guardare qualcosa sulla Pulce, recuperate un servizio della vostra trasmissione sportiva preferita.


THE PRESIDENT,  di Moshen Makhmalbaf (orizzonti)

Il film d'apertura della sezione Orizzonti, convince solo a metà. La storia di un dittatore spietatissimo di una nazione immaginaria, che da un giorno all'altro, a causa di un colpo di Stato, si troverà costretto a nascondersi tra il suo popolo che tanto lo odia, regala delle sequenze davvero memorabili e toccanti, di una violenza fisica e psicologica non indifferente, capaci di far riflettere sulla responsabilità delle proprie azioni in una maniera poco indagata dal grande schermo. Però bisogna anche ammettere che alcune scelte stilistiche sono davvero elementari e poco convincenti (primo fra tutti un finale buonista e retorico che stona con il cinismo del resto della pellicola). Makhmalbaf aveva già dimostrato di essere un buon regista più che altro attento alla messa in scena e alla recitazione degli attori, peccato per i contenuti tematici davvero altalenanti.


LA VITA OSCENA, di Renato De Maria (orizzonti)

Purtroppo, il film più brutto (sinora) presentato alla mostra del cinema è un film italiano. Tratto da un romanzo autobiografico scritto da un ex tossicodipendente che riesce poi a uscire dal tunnel delle sostanze e dalla sua depressione, il film di De Maria fa acqua da tutte le parti proponendo una regia vorticosa, non funzionale alla tematica, multimediale ma a tratti grezza e davvero antica. Il problema maggiore dell'opera però risiede nei contenuti. Infatti la droga è un argomento serio e rischioso. Trattarlo in modo superficiale ed ingenuo, potrebbe risultare offensivo e poco rispettoso per tutti coloro che con tale piaga combattono quotidianamente. Da dimenticare.

mercoledì 27 agosto 2014

VENEZIA 71. GIORNO 1 (Mercoledi 27 Agosto)

BIRDMAN, di Alejandro G. Inarritu (concorso)

Dopo l'ottima scelta di Gravity come apertura della passata edizione del Festival, la mostra di Venezia numero 71 riconferma una buona proposta per dare il via alle danze. Birdman è un film compatto, solido, dal grande respiro cinematografico, denso di contenuti affrontati in maniera originale e profonda, con un cast strepitoso (primo fra tutti Michael Keaton) capace di sorreggere l'intera pellicola e abbellito ulteriormente dalla direzione della fotografia di Lubezki (che, pura coincidenza (?), aveva lavorato anche sul set di Gravity per il quale ottenne un premio Oscar). La vicenda racconta della psicologia di un attore cinematografico diventato famoso grazie ad un film di supereroi che ora vuole darsi al teatro. Inarritu soffoca i suoi personaggi, concentrandosi spesso su coppie di attori che si mescolano svariate volte per portare avanti la vicenda, adotta uno stile ipnotico e difficile da reggere per tutta la durata (il film è concepito come un unico piano sequenza, la novità sta nel fatto che il piano temporale e il piano del racconto non combaciano) ma che, anche grazie al sapiente utilizzo di una minimalista ed utopica colonna sonora, risulterà una delle carte vincenti della pellicola. Il film mette perennemente al centro il suo protagonista indagando i suoi sogni, le sue paure, la sua vita su e giù dal palcoscenico, ma non risparmia critiche severe ed analisi attente sui social network, sul ruolo dei critici nel mondo dell'arte, sulla voglia di fama degli attori, sui rapporti familiari ecc. Birdman riesce anche a mescolare momenti comici a sequenze decisamente drammatiche che mirano ad ingabbiare lo spettatore esattamente come il suo personaggio. Ed il finale a campo aperto (ovvero senza controcampo) sarà quasi una manna dal cielo. Per tutti.


ONE ON ONE, di Kim Ki-duk (giornate degli autori) 


Per la terza volta consecutiva è sbarcato al lido il regista Kim Ki-duk, quest'anno per presentare il suo ultimo lavoro, One on One, che ha avuto il privilegio di aprire la sezione parallela delle Giornate degli Autori. La pellicola rispecchia le ultime tendenze cinematografiche del regista, mostrando diverse scene di violenza come già era successo nel precedente Moebius o in Pietà (sempre presentati nella cornice veneziana), cercando di spronare lo spettatore ad una riflessione sul senso di colpa, sulla responsabilità e sui doveri di ognuno di noi. Il problema però è che la pellicola risulta troppo esplicita, didascalica e meno  profonda di quanto voglia apparire, a tratti persino ripetitiva e noiosa. Prendendo le mosse dall'omicidio della sua figlia adolescente, il protagonista del film cerca vendetta, ma strada facendo la violenza aumenterà e il nostro (anti)eroe perderà la bussola. Di trovate brillanti il film ne ha, la mano del maestro orientale si sente, però manca qualcosa e soprattutto non si scava mai adeguatamente. Peccato