sabato 5 settembre 2015

VENEZIA 72. GIORNO 3 (Venerdi 4 Settembre)



FRANCOFONIA, di Alexander Sokurov (concorso)


Presentato in concorso durante la terza giornata del Festival, Francofonia è sicuramente il titolo più atteso dell’intera rassegna, sia per il nome (sinonimo di garanzia) del suo regista, che per la lunga gestazione alla base del progetto che alcuni rumors volevano già in una sua apparizione a Cannes 2014. In ogni caso, la pellicola di Sokurov è un’opera dall’ampio respiro densissima di contenuti e decisamente stratificata. L’autore russo non si fa scrupolo alcuno a risultare sgradevole o noioso, il suo cinema o lo si ama o lo si odia. Eppure non si può rimanere impassibili di fronte alla scelta visiva che spazia in ogni campo (dalla modellistica 3d alla pellicola più antica passando per le riprese digitali moderne) in quello che rimane un epico inno al tempo (passato, presente e futuro sono continuamente mescolati in maniera più che armoniosa) e all’arte. La cultura è la nostra culla sin da tempi immemori. Conservarla, studiarla, ricordarla sono tutti modi utili e indispensabili per una formazione umana. “Cosa saremmo senza i musei?” è solo una delle tante domande provocatorie e prive di apparente risposta che il regista lancia al suo pubblico in un film lontano dall’estetica di Arca Russa così come dallo stile di Faust (giusto per citare un paio di titoli recenti e probabilmente più riusciti di quest’ultimo) ma che nell’insieme funziona e scuote il cuore, nel bene o nel male. Proprio come un’opera d’arte deve saper fare. Coincidenze?



BLACK MASS, di Scott Cooper (fuori concorso)


Presentato fuori concorso per la gioia di tutti i giovani fans presenti al Lido in attesa di poter incontrare il loro beniamino Johnny Depp, Black Mass sulla carta era un titolo molto atteso anche dalla fetta di pubblico più cinefila e specializzata. Il film infatti venne anticipato da sequenze che lasciavano ben sperare soprattutto in un interessante (e forse ormai inatteso) ritorno di Depp in un ruolo significativo e degno di nota dopo gli innumerevoli strafalcioni cui ormai ci aveva abituati. La pellicola di Cooper invece non regala molte emozioni né a livello contenutistico nè formale. Il regista si limita a mettere in scena una storia di gangsters ben assodata ma che non presenta molti picchi, lavorando su una regia fondamentalmente piatta e monocorde, priva di grande entusiasmo se non in qualche breve felice intuizione qua e là. Tuttavia Black Mass non è nemmeno esente da punti di forza. In primis l’interpretazione del suo protagonista, mirata e funzionale alle caratteristiche del personaggio e priva di smorfie o esagerazioni nel quale sarebbe potuta abbondantemente incappare. In secondo luogo a Cooper va dato il merito di essere riuscito a realizzare un prodotto elementare e alla portata di una vasta fascia di pubblico senza scendere a patti con lo spettatore, almeno non in maniera esplicita. Alla fine si ha la sensazione di avere appena assistito a uno spettacolo senza infamia e senza  lode, eppure lo stesso script nelle mani sbagliate avrebbe potuto dare luogo a qualcosa di molto peggio. Probabilmente dunque è giusto guardare il bicchiere mezzo pieno. Ma sempre di mezzo si tratta.



MARGUERITE, di Xavier Giannoli (concorso)



A tre anni di distanza da Superstar, torna al festival di Venezia Xavier Giannoli che questa volta porta sullo schermo la buffa storia di una dama del Novecento con la passione della lirica. La Marguerite in questione, tanto ricca quanto stonata, non riesce (o non vuole?) ammettere la sua inadeguatezza nel cantare ostacolata ulteriormente da tutti i suoi inservienti che non trovano il coraggio per dirle la verità. Il regista è bravo a dosare i toni ironici, a curare la forma estetica abbastanza bizzarra e ricercata, a indirizzare le interpretazioni notevoli di tutti gli attori e soprattutto a sondare diverse tematiche interessanti e scottanti come il rapporto tra artista e pubblico, il valore della verità, la componente del talento in ognuno di noi. Per questi motivi la pellicola rimane un tassello gradevole e significativo della rassegna, seppure non si possa fare a meno di notare come una parte centrale un po’ troppo prolissa e ripetitiva e un finale del tutto fuori luogo pesino inevitabilmente sulla valutazione finale. Peccato, sarebbe potuto essere davvero un gran film. Così invece rimane una piacevole sorpresa.



IN JACKSON HEIGHTS, di Frederick Wiseman (fuori concorso)


Nonostante la sua veneranda età e la più che prolifica carriera, Frederick Wiseman continua ancora a documentare la realtà con il suo stile neutrale e secco. Conducendoci questa volta nelle vie di un quartiere newyorkese tra i più multietnici, il regista spinge il piede sull’acceleratore per dimostrare come tutti noi esseri umani siamo sostanzialmente sulla stessa barca. Non esistono differenze razziali o culturali, non esiste l’altro o il diverso, l’uomo o la donna, il gay o il transgender. Ciò che conta davvero sono l’uguaglianza e il rispetto. Suonano solo come belle e retoriche parole, eppure il film è tutt’altro che piacione o accattivante. Come da sempre l’autore ha dimostrato di saper fare, le sue macchine da presa non scendono a patti né con il pubblico né con la realtà dinanzi. Musicisti, insegnanti, macellai, tassisti, studenti, assistenti sociali, mercanti. Tutti ripresi alla stessa maniera in un micromondo che ci pare di conoscere benissimo pur non avendolo mai abitato. Un quartiere nascosto agli occhi di tutti e dal quale non si vede l’ombra di un grattacielo. Una gigantesca bolla che racchiude al suo interno tutta l’umanità necessaria che servirebbe per aggiustare molte delle problematiche odierne più scottanti. Non si comprendono, onestamente, le eccessive tre ore di durata. Per il resto c’è solo da ammirare il lavoro e lo sguardo incalzanti e mai ripetitivi di uno dei migliori documentaristi ancora in circolazione.

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