A BIGGER SPLASH, di Luca Guadagnino (concorso)
Accolto in maniera decisamente
negativa dopo le proiezioni stampa qui a Venezia, A Bigger Splash è un film sicuramente poco riuscito e instabile
(soprattutto nella parte finale decisamente da dimenticare) ma che
probabilmente non meritava un simile trattamento. Comportandosi come un
burattinaio con le sue marionette, Guadagnino fionda sull’isola di Pantelleria
quattro personaggi che poi si diverte a massacrare per circa due ore. Quattro
solitudini, quattro disagi e soprattutto quattro individui incapaci di
comunicare tra loro (non solo per problemi pratici come l’afonia della rock
star interpretata da Tilda Swinton) saranno costretti a interagire gli uni con
gli altri. Nulla di nuovo, è vero, però il regista studia un interessate chiave
di lettura legata alla nudità che molto avrà da dire lungo lo scorrere dei
minuti. Il film inizia con un corpo nudo intento a prendere il sole estivo a
bordo piscina, poi continua in diversi momenti insistendo a più riprese su tale
fattore non tanto per mettere in bella mostra i corpi degli attori, quanto per
sottolineare il loro disarmo, la loro difesa completamente azzerata nei
confronti della realtà vissuta. Peccato che Guadagnino decida di decorare il
tutto con uno stile autoriale e fine a se stesso che dopo poco stufa e rischia
la derisione.
EL CLAN, di Pablo Trapero
(concorso)
Presentato all’interno di un
concorso sinora poco emozionante e decisamente sottotono, El Clan ha il vantaggio di poter essere accostato a pellicole
inferiori risultando così una visione piacevole e consigliabile. Ora, non che
il film non possegga effettivamente buone qualità, ma probabilmente il lavoro
di Trapero (se valutato a mente lucida e senza paragoni alcuni) è da
considerarsi meno smagliante del previsto. Raccontando una storia di cronaca
argentina in cui una famiglia di malavitosi si specializza nell’arte (se così
si può chiamare) dei rapimenti, l’autore costruisce una pellicola dal ritmo
serrato e snervante che tiene lo spettatore incollato allo schermo per tutti i
suoi minuti. Il cast è in forma e la regia decisamente dinamica aiuta la buona
riuscita estetica del prodotto. Ciò che però convince meno è l’apparato
tematico trattato troppo con superficialità. Ostacolato anche da una scrittura
didascalica ed elementare, il film soffre molto risente molto di tale carenza
anche perché le premesse erano più che stimolante (il ruolo del pater familias,
il nucleo nativo come banda criminale, il sentimento di rivalsa finale e l’indubbia
scelta morale posta davanti al protagonista). Ad ogni modo, ad oggi è un titolo
che potrebbe portare a casa qualche premio.
THE ENDLESS RIVER, di Oliver
Hermanus (concorso)
Accolto con una lunga serie di
fischi al termine della proiezione stampa, The Endless River è effettivamente
il film meno maturo visto all’interno del concorso di quest’ultima Mostra del
cinema di Venezia. Prendendo il via da un soggetto melodrammatico prevedibile e
banale, il regista racconta la storia di una relazione impossibile tra due
persone segnate profondamente da un lutto che li accomuna. Hermanus
probabilmente si è accorto della vacuità dello script e prova a stimolare l’attenzione
dello spettatore insistendo sul patetismo. Purtroppo è proprio questa la scelta
che affonda inevitabilmente il progetto, il quale procede arrancando lungo tutti i suoi minuti
con svolte narrative futili e uno stile retorico facilmente rimproverabile. Nella
seconda parte, il film sembra intraprendere un sentiero più misterioso e
affascinante proprio perché si distacca parzialmente dall’eccesso barocco di cui sopra, giocando sul
dubbio reciproco che si insinua nella coppia protagonista per via di alcuni qui
pro quo fatali e destabilizzanti. Peccato che la parentesi felice dell’opera si
esaurisca ben presto per concludere il tutto con un finale frettoloso e
superficiale.
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